domenica 27 maggio 2012

GLI ANNI



All'approssimarsi di scadenze importanti, viene sempre il sospetto che non ci
sia nulla da festeggiare. Trenta, quaranta, cinquanta e così via, sono date che non significano nulla, nulla nella  infinitesima  parte di tempo che ci è dato sperimentare. Ci ostiniamo però a segnare i minuti, le ore, gli anni, a voler demarcare traguardi, a celebrare compimenti e a beneaugurare futuri improbabili. Il rito diventa più rilevante della realtà che ci vede prigionieri di un destino che si fa da sé per quanto tentiamo di plasmarlo a nostro piacere, serrandoci in una miriade di ingannevoli scelte che escludono per sempre ogni possibilità contenuta in noi e ci raffigurano come siamo, con zig-zag e ritorni e false partenze. Detesto i compleanni, soprattutto il mio, l’officiare inutile a tutto ciò che c’è, alla beffa del tempo, l’elegia finto-allegra a ciò che non siamo stati e mai saremo, alle strade che non abbiamo preso, ai volti che non abbiamo incontrato, alle mani che non abbiamo stretto, ai luoghi che non abbiamo attraversato. Poco prima dei miei quarant’anni ho infilato nel mio portafoglio  la fotocopia delle prime due pagine del racconto di Ingeborg Bachmann Il trentesimo anno. Proprio così mi sono sentita da quel giorno in poi. E ancora, la sensazione è la stessa. La seccatura del forzato passaggio dal revocabile all’irrevocabile. Questa certezza del compiuto che già disegna intorno steccati.
Una forma di ribellione, un gesto sovversivo, tra i molti, è forse sfuggire con garbo  i genetliaci propri e altrui.

polange

“Di uno che entra nel suo trentesimo anno non si smetterà di dire che è giovane. Ma lui, benché non riesca a scoprire in se stesso alcun mutamento, non ne è più così sicuro: gli sembra di non aver più diritto di farsi passare per giovane. E la mattina di un giorno che poi scorderà si sveglia e, tutt’a un tratto, rimane lì steso senza riuscire ad alzarsi, colpito dai raggi di una luce crudele e sprovvisto di ogni arma e di ogni coraggio per affrontare il nuovo giorno. Non appena chiude gli occhi per proteggersi, si sente andar giù e precipita in un deliquio in cui trascina con sé ogni istante vissuto. Continua a sprofondare e il suo grido non ha suono e precipita in una voragine senza fondo finché non perde i sensi, finché non si è dissolto, spento e annientato tutto ciò che egli credeva d’essere. Perché prima di allora aveva semplicemente vissuto alla giornata, ogni giorno tentato qualcosa di nuovo, senza ombra di malizia. S’immaginava di avere innumerevoli possibilità e credeva, per esempio, di poter diventare qualsiasi cosa. […]

S’era cullato per tanti anni nei pensieri più estremi, nei progetti più mirabolanti, e poiché non possedeva altro che giovinezza e salute, e gli sembrava di avere davanti a sé ancora tanto tempo, aveva detto di sì a ogni lavoro occasionale. Aveva dato lezioni private agli studenti in cambio di un piatto di minestra, aveva venduto giornali, spalato la neve per cinque scellini l’ora e intanto aveva studiato i Presocratici. Era entrato in una ditta come studente lavoratore, ma si era licenziato non appena trovato lavoro in un giornale; gli avevano fatto fare dei servizi su un nuovo trapano per dentista, sulla ricerca gemellare, sui lavori di restauro nella Cattedrale di Santo Stefano. Poi un giorno si mise in viaggio senza soldi, fece l’autostop, utilizzò gli indirizzi di terzi avuti da un ragazzo che conosceva appena, fece qualche tappa e proseguì. In autostop attraversò l’Europa, ma poi, seguendo un’improvvisa decisione, ritornò indietro, preparò degli esami per poter esercitare una professione redditizia che però si rifiutava di considerare la sua professione definitiva, e questi esami li superò. […]

In ogni occasione aveva detto di sì, a un’amicizia, a un amore, a una proposta, ogni volta per prova, su richiesta. Il mondo intero gli pareva revocabile, lui stesso revocabile. Mai, neanche per un attimo, aveva temuto che il sipario potesse alzarsi come ora sul suo trentesimo anno, che toccasse a lui pronunciare la battuta, che un giorno avrebbe dovuto dimostrare ciò che realmente era capace di pensare e di fare, e confessare di che cosa gli importasse davvero. Non aveva mai pensato che di mille e una possibilità forse già mille erano ormai sfumate e perdute – oppure che sarebbe stato costretto a perderle perché una sola era la sua. Mai aveva riflettuto. Mai di nulla aveva avuto paura. Ora sa che anche lui è in trappola”.


Ingeborg Bachmann, tratto da  Il trentesimo anno






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