giovedì 29 luglio 2010

DAYDREAM

Sogno ad occhi aperti... I sogni vanno condivisi , le tele tessute, nella linea verticale che unisce chi trova senso e spazio nell'atto della levitazione, cercando il punto più prossimo all'indicibile.

polange


Giovanni Sollima - Sogno ad Occhi Aperti (Daydream) PART 1


sabato 24 luglio 2010

DINIEGO



"...consiste ne negare, nelle forme più svariate e ipocrite, l'esistenza di ciò che esiste e per giunta si conosce."


Umberto Galimberti, I vizi capitali e i nuovi vizi, 2003


Credo che non vi sia altro "vizio" non capitale ma collettivo, secondo la classificazione di Umberto Galimberti, più deleterio e codino di questo. Di origine freudiana, come quasi tutto il secolo che sa di non sapere tutta la verità su se stesso, questo male si dilata col dilatarsi dei megafoni della comunicazione, diventa un blob incandescente che annebbia la mente, per cui non vediamo più quello che vediamo ma solo quello che vogliamo vedere. Per Freud, infatti, era l'anticamera della pazzia.

Non è la rimozione, non è la negazione, il diniego, Verleugnung, è negare che le cose siano come sono e come si sa che sono. Dalla questione palestinese fino alle faccende di casa nostra, c'è di che trovare esempi di questa immoralità collettiva che scarica altrove la scienza e la coscienza dell'accadere.

polange

ADIRARSI



"Adirarsi è facile , ne sono tutti capaci, ma non è assolutamente facile, e soprattutto non è da tutti adirarsi con la persona giusta, nella misura giusta, nel modo giusto, nel momento giusto e per la giusta causa."


Aristotele, Etica a Nicomaco

venerdì 23 luglio 2010

silenzi

"La morte non è nel non poter comunicare ma nel non poter più essere compresi."

Pier Paolo Pasolini

Alla mia nazione


Alla mia nazione

Non popolo arabo, non popolo balcanico, non popolo antico
ma nazione vivente, ma nazione europea:
e cosa sei? Terra di infanti, affamati, corrotti,
governanti impiegati di agrari, prefetti codini,
avvocatucci unti di brillantina e i piedi sporchi,
funzionari liberali carogne come gli zii bigotti,
una caserma, un seminario, una spiaggia libera, un casino!


Milioni di piccoli borghesi come milioni di porci
pascolano sospingendosi sotto gli illesi palazzotti,
tra case coloniali scrostate ormai come chiese.
Proprio perché tu sei esistita, ora non esisti,
proprio perché fosti cosciente, sei incosciente.

E solo perché sei cattolica, non puoi pensare
che il tuo male è tutto male: colpa di ogni male.

Sprofonda in questo tuo bel mare, libera il mondo.

Pier Paolo Pasolini









Pasolini: "Alla mia nazione" from IdeeperCordenons.tv on Vimeo.

mercoledì 21 luglio 2010


Viandante, sono le tue impronte
il cammino e nulla più;
Viandante non c'è un cammino
la via si fa con l'andare..."

Camminando si fa il cammino
e girando indietro lo sguardo
si vede il sentiero che mai
si deve tornare a calpestare.

Viandante non c'è un cammino
ma le stelle nel mare ...
Antonio Machado

NULLA E' IN REGALO


Nulla è in regalo,tutto è in prestito.
Sono indebitata fino al collo,sarò costretta a pagare per me con me stessa,a rendere la vita in cambio della vita.
E' così che è stabilito,il cuore va reso e il fegato va reso e ogni singolo dito.
E' troppo tardi per impugnare il contratto.
Quanto devo mi sarà tolto con la pelle.
Me ne vado per il mondo tra una folla di altri debitori.
Su alcuni grava l'obbligo di pagare le ali.
Altri dovranno,per amore o per forza,rendere conto delle foglie.
Nella colonna ''dare'' ogni tessuto che è in noi.
Non un ciglio,non un peduncolo da conservare per sempre.
L'inventario è preciso,e a quanto pare ci toccherà restare con niente.
Non riesco a ricordare dove,quando e perchè ho permesso che aprissero questo conto a mio nome.
La protesta contro di esso noi la chiamiamo anima.
E questa è l'unica voce che manchi nell'inventario...

Wislawa Szymborska

I PERSONAGGI DI BUFALINO


Torno su Gesualdo Bufalino e i suoi personaggi di romanzo. Oltre alle memorabili decrizioni dei personaggi di Dovstoevskj , i ritratti megli riusciti mi sembrano quelli di Emma Bovary, l’uomo del sottosuolo, Anna Karenina ,Padron ‘Ntoni e Auguste Dupin. Epitaffi sontuosamente e nostalgicamente barocchi di vite che ci somigliano.
Emma Bovary
Schiacciata, come si schiacciano due battenti, fra la platea brutale di tutti gli Homais della terra e le quinte dipinte e pesanti dei suoi fantasmi di biblioteca, la povera infedele di provincia recita fino alla morte inscena, con arsenico vero, il suo assolo di primadonna. Incarnazione di non so quante creature illuse da una nuvola o da una parola; alter ego dello stesso autore, di cui accusa, dietro il falso marmo della sintassi, gli ardori nascosti e l’invincibile credulità nelle maschere della passione.

L’uomo del sottosuolo
Persa ogni speranza di palingenesi universale, barattato Fourier con Stirner, un uomo s’ammutina contro la società e la storia, sceglie di murarsi vivo nella propria tenebra, di cibarsi solo delle immondizie del proprio io. Da allora la sua esistenza sarà quella del sotterrato, la sua voce un lamento in falsetto, una confessione abietta, dove dileggio e pietà di sé, biffonaggine e disperazione s’impastano. Nella tana che gli è ventre e , pietosamenteveramente un insetto., uno di quei vermi come se ne vedono se si rivolta una pietra. Ci riuscirà più tardi a Praga una mattina, svegliandosi, e si chiamerà Gregorio Samsa.

Anna Karenina
L’adulterio nella meteorologia amoriosa dell’Ottocento è non di rado un’acquata di priomavera. Per Anna Karenina è l’alluvione che spacca la diga. Da quando Vronskij le apparve, nel suo fatuo splendore di denti e spalline, non esistono più per lei, benchè un po’ insista a rispettarli, né l’alfabeto mondano né il codice dei valori morali. Finirà sotto le ruote di un treno, pietosamente, chiudendo tra una banchina e l’altra di una stazione il curricolo nero della sua deroga. E’ una vendetta del cielo? E Anna la meritava? O non la meritava piuttosto il mondo che la spinse alla morte? Per bocca di san paolo l’epigrafe del conte Tolstoj ambiguamente risponde: “La vendetta è mia; io ti ripagherò”.

Padron ‘Ntoni
Amico mare, amaro mare: truvatura e banca sempre aperta di pesci che diventano onze e tarì; ma pesce, esso stesso, tutto bocca e denti, che si mangia senza differenza le paranze dei poveri e le corazzate dei re. E si piglia sudore e sangue, si piglia i figli. E, quando non ammazza, invecchia: storpia le mani, secca la pelle, storce le ossa. Così per tanti, così per padron ‘Ntoni. Ma del suo crescere lento in statua, in un’aria di domestico epos; del suo sopravvivere, come durano, anche fulminate, le querce; della sua indomita fanciullezza di cuore, quando guarda come un cefalo guizzare nuova nuova la “Provvidenza” sulle onde, ci ricorderemo.

Auguste Dupin
Mesmeriche Ligeie , cavalli a galoppo nella tempesta, specchi abitati da ombre, Morti Rosse e Pesti truccate da re…Ma l’iconografia gotica, più che un’eredità di spaventi scolastici è in Poe il suo stesso cardiogramma, mentre soccombe al mal di mare dell’invisibile. Lui che pretendeva di mettere le briglie al caos, di costruire una poesia come si costruisce, con regolo e filo a piombo, una casa…E allora si veste da Auguste Dupin, e con l’aiuto dell’ultimo pezzetto di cervello che l’alcool gli ha risparmiato, traccia su una lavagna la grande superstite sezione aurea di una verità di ragione.

DOBBIAMO RIFARE NOI STESSI



(Robert Delaunay, Fenetres Ouvertes Simultanement, 1912 o/c)


E’ da molto tempo che desidero postare questo brano. Credo sia giunto il momento.
Giacomo Ulivi, 19 anni nel 1944, studente all’università di Parma, facoltà di legge. E’ staffetta tra il Cnl di Parma e di Carrara e gli inglesi. Viene catturato , fugge per ben due volte ma la terza gli è fatale; a Modena le Brigate Nere lo imprigionano e lo torturano. La mattina del 10 novembre verrà fucilato sulla piazza Grande di Modena insieme ad altri due partigiani. Questa è la lettera che riuscì a far giungere agli amici prima dell’arresto:

Cari amici,
vi vorrei confessare innanzi tutto, che tre volte ho strappato e scritto questa lettera. L’avevo iniziata con uno sguardo in giro, con un sincero rimpianto per le rovine che ci circondano, ma, nel passare da questo argomento di cui desidero parlarvi, temevo di apparire "falso", di inzuccherare con un patetico preambolo una pillola propagandistica. E questa parola temo come un’offesa immeritata: non si tratta di propaganda ma di un esame che vorrei fare con voi.


Invece dobbiamo guardare ed esaminare insieme: che cosa? Noi stessi. Per abituarci a vedere in noi la parte di responsabilità che abbiamo dei nostri mali. Per riconoscere quanto da parte nostra si è fatto, per giungere ove siamo giunti. Non voglio sembrarvi un Savonarola che richiami il flagello. Vorrei che con me conveniste quanto ci sentiamo impreparati, e gravati di recenti errori, e pensassimo al fatto che tutto noi dobbiamo rifare. Tutto dalle case alle ferrovie, dai porti alle centrali elettriche, dall’industria ai campi di grano.

Ma soprattutto, vedete, dobbiamo fare noi stessi: è la premessa per tutto il resto. Mi chiederete: perché rifare noi stessi, in che senso? Ecco per esempio, quanti di noi sperano nella fine di questi casi tremendi, per iniziare una laboriosa e quieta vita, dedicata alla famiglia e al lavoro? Benissimo: è un sentimento generale, diffuso e soddisfacente. Ma, credo, lavorare non basterà; e nel desiderio invincibile di "quiete", anche se laboriosa è il segno dell’errore. Perché in questo bisogno di quiete è il tentativo di allontanarsi il più possibile da ogni manifestazione politica. È il tremendo, il più terribile, credetemi, risultato di un’opera di diseducazione ventennale, di diseducazione o di educazione negativa, che martellando per vent’anni da ogni lato è riuscita ad inchiodare in molti di noi dei pregiudizi.
Fondamentale quello della "sporcizia" della politica, che mi sembra sia stato ispirato per due vie. Tutti i giorni ci hanno detto che la politica è un lavoro di "specialisti". Duro lavoro, che ha le sue esigenze: e queste esigenze, come ogni giorno si vedeva, erano stranamente consimili a quelle che stanno alla base dell’opera di qualunque ladro e grassatore. Teoria e pratica concorsero a distoglierci e ad allontanarci da ogni attività politica. Comodo, eh? Lasciate fare a chi può e deve; voi lavorate e credete, questo dicevano: e quello che facevano lo vediamo ora, che nella vita politica – se vita politica vuol dire soprattutto diretta partecipazione ai casi nostri – ci siamo stati scaraventati dagli eventi.

Qui sta la nostra colpa, io credo: come mai, noi italiani, con tanti secoli di esperienza, usciti da un meraviglioso processo di liberazione, in cui non altri che i nostri nonni dettero prova di qualità uniche in Europa, di un attaccamento alla cosa pubblica – il che vuol dire a sé stessi – senza esempio forse, abbiamo abdicato, lasciato ogni diritto, di fronte a qualche vacua, rimbombante parola? Che cosa abbiamo creduto? Creduto grazie al cielo niente, ma in ogni modo ci siamo lasciati strappare di mano tutto, da una minoranza inadeguata, moralmente e intellettualmente.

Questa ci ha depredato, buttato in un’avventura senza fine; e questo è il lato più "roseo", io credo: Il brutto è che le parole e gli atti di quella minoranza hanno intaccato la posizione morale; la mentalità di molti di noi. Credetemi, la "cosa pubblica" è noi stessi: ciò che ci lega ad essa non è un luogo comune, una parola grossa e vuota, come "patriottismo" o amore per la madre in lacrime e in catene vi chiama, visioni barocche, anche se lievito meraviglioso di altre generazioni. Noi siamo falsi con noi stessi, ma non dimentichiamo noi stessi, in una leggerezza tremenda. Al di là di ogni retorica, constatiamo come la cosa pubblica sia noi stessi, la nostra famiglia, il nostro lavoro, il nostro mondo, insomma, che ogni sua sciagura è sciagura nostra, come ora soffriamo per l’estrema miseria in cui il nostro paese è caduto: se lo avessimo sempre tenuto presente, come sarebbe successo questo? L’egoismo – ci dispiace sentire questa parola - è come una doccia fredda, vero?

Sempre tutte le pillole ci sono state propinate col dolce intorno; tutto è stato ammantato di rettorica. Facciamoci forza, impariamo a sentire l’amaro; non dobbiamo celarlo con un paravento ideale, perché nell’ombra si dilati indisturbato. E’ meglio metterlo alla luce del sole, confessarlo, nudo scoperto, esposto agli sguardi: vedrete che sarà meno prepotente. L’egoismo, dicevamo, l’interesse, ha tanta parte in quello che facciamo: tante volte si confonde con l’ideale. Ma diventa dannoso, condannabile, maledetto, proprio quando è cieco, inintelligente. Soprattutto quando è celato. E, se ragioniamo, il nostro interesse e quello della "cosa pubblica", insomma, finiscono per coincidere. Appunto per questo dobbiamo curarla direttamente, personalmente, come il nostro lavoro più delicato e importante. Perché da questo dipendono tutti gli altri, le condizioni di tutti gli altri. Se non ci appassionassimo a questo, se noi non lo trattiamo a fondo, specialmente oggi, quella ripresa che speriamo, a cui tenacemente ci attacchiamo, sarà impossibile. Per questo dobbiamo prepararci. Può anche bastare, sapete, che con calma, cominciamo a guardare in noi, e ad esprimere desideri. Come vorremmo vivere, domani? No, non dite di essere scoraggiati, di non volerne più sapere. Pensate che tutto è successo perché non ne avete più voluto sapere!
Ricordate, siete uomini, avete il dovere se il vostro istinto non vi spinge ad esercitare il diritto, di badare ai vostri interessi, di badare a quelli dei vostri figli, dei vostri cari. Avete mai pensato che nei prossimi mesi si deciderà il destino del nostro Paese, di noi stessi? Quale peso decisivo avrà la nostra volontà se sapremo farla valere? Che nostra sarà la responsabilità, se andremo incontro ad un pericolo negativo. Bisognerà fare molto. Provate a chiedevi in giorno, quale stato, per l’idea che avete voi stessi della vera vita, vi pare ben ordinato: per questo informatevi a giudizi obbiettivi. Se credete nella libertà democratica, in cui, nei limiti della costituzione, voi stessi potreste indirizzare la cosa pubblica, oppure aspettare una nuova concezione, più egualitaria della vita e della proprietà. E se accettate la prima soluzione, desiderate che la facoltà di eleggere, per esempio sia di tutti, in modo che il corpo eletto sia espressione diretta e genuina del nostro Paese, o restringerla ai più preparati oggi, per giungere ad un progressivo allargamento? Questo ed altro dovete chiedervi. Dovete convincervi, e prepararvi a convincere, non a sopraffare gli altri, ma neppure a rinunciare.
Oggi bisogna combattere contro l’oppressore. Questo è il primo dovere per noi tutti: ma è bene prepararsi a risolvere quei problemi in modo duraturo, e che eviti il risorgere di essi ed il ripetersi di tutto quanto si è abbattuto su di noi.
Termino questa lunga lettera un po’ confusa, lo so, ma spontanea, scusandomi ed augurandoci buon lavoro.

( Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana, Einaudi, Torino, 1952)



I PERSONAGGI DI ROMANZO


In Dizionario dei personaggi di romanzo, Bufalino si diverte a ritrarre con la sua prosa mirabile e barocca i destini delle creature di carta che tutti conosciamo, da Don Chisciotte all’Innomable di Beckett, e giustifica così in una indimenticabile e ironica introduzione la sua scelta apparentemente bovina alla Bouvard e Pecuchet:


“ Come ogni appassionato di squartamenti – tigre ircana o critico strutturalista – il compilatore di antologie è individuo nocivo, da fidarsene poco. Di lingua subdola, di mano spiccia, di smisurata superbia, egli meriterebbe il bando dalle pubbliche biblioteche, se la sua oepra non si rivelasse provvidenziale nelle emergenze di apocalisse prossima ventura, quando non ci vuol meno dei suoi coltelli da cuciniere per fornire ai clienti delle catacombe il Libro dei Libri, surrogatorio d’ogni altro, tascabile lingotto di lacerti pressati, da nascondere in fretta nella valigia, fra una borraccia e il rasoio, subito dopo lo quillo della prima tromba del cherubino. Siamo tanto? E’ probabile, i roghi di Fahrenheit 451 li abbiamo già visti divampare per prova sulla pagina e sullo schermo; e in quanto al calendario 1984, credo che il proto abbia cominciato da tempo a licenziare le bozze. Ahimè, a quel che sembra, i poeti sballano solo le profezie più ottimistiche, mentre non falliscono mai né un diluvio né una caduta di Troia. Sicchè a questo punto prudenza vuole che ognuno si nomini da solo Deucalione e Noè, e metta mano a salvare almeno un compendio dello scibile che più gli preme. Del romanzo, in particolare, i simulacri dei personaggi più memorandi, così come ci vengono incontro sulla soglia, mentre provano i gesti dellìesordio e fanno amicizia col lettore, col caldo della vita, con la voce che li battezza. Un arbitrio, lo sappiamo (ma eluderlo sarebbe più difficile che condannarlo); un arbitrio e un azzardo: sottoposti a una chirurgia tanto efferata, estirpati dal traliccio di vicende che li sorregge e li nutre, umiliati in un’arida fila indiana, cronologica e alfabetica, è inevitabile ch’essi finiscano col comporre un album di sinopie burocratiche e utilitarie; qualcosa come un casellario giudiziario o una vetrina di farfalle, ciascuna col suo spillino nell’addome imbalsamato; se non addirittura uno di quei campioni di veneri venali che si esibiscono in visione ai commendatori in trasferta…Toccherà infine al lettore, se Dio vuole, giustificare manomissioni così disinvolte , quando sappia giovarsene a ricomporre, non diversamente da un fossile o da un calco pompeiano, le fattezze della figura originaria; e a cucirsi con le singole pezze un solo grande romanzo-arlecchino, un film-monstre dall’ineguagliavile cast.
[…] Ci troviamo un tal caso alla presenza di quelli che si è convenuto di chiamare “eroi culturali”, archetipi solenni e stazioni carovaniere, poste a scandire lungo le piste del tempo la musica senza fine dell’uomo. Lord Jim, Crotcaia, Tartarino, Ukiko Makioka…così rispondono, se a caso li chiamiamo per nome, gli abitanti di questo territorio invisibile: la nostra patria più vera. Averli messi in fila qui di seguito come parole di un simultaneo discorso, avrà giovato almeno a sancire la loro obbligatoria complicità e interazione reciproca. Quasi fossero l’anagrafe di una sola mitopea gigantesca, scritta da una sola innumerevole mano, e fra loro si amassero, colluttassero, grandando chiedessero a tutti i costi di vivere e di somigliarci.” (G. Bufalino)

LE COSMOGONIE DI GESUALDO BUFALINO



Gesualdo Bufalino, lo scrittore siciliano che disse di sé:
"Una vita come tante, due tre malattie intere, due tre mezzi amici, un umor malinconico con vampate d’ilarità; un cristianesimo ateo e tremante, inetto a capire se l’universo sia salute o metastasi, grazia o disgrazia; un odio della storia: lastrico di fossili ideologici, collana inerte di errori; un trasporto per ciò che dura e resiste - luoghi, solidali gerghi, abitudini oneste, strette di mano - nel fondo della mia provincia sperduta. In letteratura un amor di menzogna e di musica, purchè radicate nel punto favoloso e geometrico del dolore e della memoria. Cose che ho amato o amo: il blues, Verdi e Mozart, il cinema muto, le stampe (belle o brutte) del seicento, Proust e Leopardi, gli epistolari, una canzone francese, che so io, i problemi scacchi ... Dimenticavo: "Le clair de lune quand le, clocher sonnait douze", nelle notti d’oscuramento, quarant’anni fa. P.S. Il libro per la solita isola? Un vocabolario".

Con i suoi libri riaffiora uno scampolo di mondo che da adolescente respiravo e che ora non c’è più se non in me, nella memoria che resiste e si contamina di presente. Ma forse così deve essere. Es Muss sein. Bufalino scriveva con il suo solito tono da voyant che «forse è veramente cominciato il tracollo dell'umanesimo che amammo, forse si tratta solo d'una pausa prima d'un nuovo imprevedibile balzo. Nessuno può escludere che in questo stesso momento, in un asilo infantile di non so dove, un nuovo Dante, un nuovo Shakespeare stia con piccole dita incerte scarabocchiando su un foglio bianco le prime sillabe di un nuovo, inaudito alfabeto...»
(Essere o riessere)

E’ stato lo scrittore forse involontario della “sicilitudine” come disse Sciascia, non di una sola isola ma della pluralità delle Sicilie anche se proveniva dalla Sicilia “babba”:

"… le Sicilie sono tante, non finirò di contarle. Vi è la Sicilia verde del carrubo, quella bianca delle saline, quella gialla dello zolfo, quella bionda del miele, quella purpurea della lava.
Vi è una Sicilia “babba”, cioè mite, fino a sembrare stupida; una Sicilia “sperta”, cioè furba, dedita alle più utilitarie pratiche della violenza e della frode. Vi è una Sicilia pigra, una frenetica; una che si estenua nell’angoscia della roba, una che recita la vita come il copione di carnevale … "

LA FORTEZZA BASTIANI


Resisterà alle dolci lusinghe la Fortezza Bastiani?
Bugiardi imbonitori l'assediano
con violenze degne di Tamerlano
Resisterò andando incontro al piacere
ascoltando il respiro trattenendo il calore
su un'altra forma d'onda intonerò il mio pensiero
Ho camminato girando a vuoto
senza nessuna direzione
mi tiene immobile nei limiti
l'ossessione dell'Io

Mi ritrovai seduto su una panchina
al sole di febbraio
un magico pomeriggio dai riflessi d'oro
e mi svegliai con l'aria di pioggia recente
che aveva lasciato frammenti di gioia

Franco Battiato