venerdì 30 novembre 2012

LIBRI





Libri

Tutti i libri del mondo
non ti danno la felicità,
però in segreto
ti rinviano a te stesso.

Lì c'è tutto ciò di cui hai bisogno,
sole stelle luna.
Perché la luce che cercavi
vive dentro di te.

La saggezza che hai cercato
a lungo in biblioteca
ora brilla in ogni foglio,
perché adesso è tua.


(Hermanne Hesse)





PRIMA DELL'INIZIO




Alle Hawai, l'arcobaleno in un albero. Le cortecce multicolori dell'Eucalyptus Deglupta, nella foresta pluviale di Maui subito dopo un acquazzone tropicale. Foto di Barbara Dall'Angelo per il National Geographic. 


PRIMA DELL'INIZIO

Succede talvolta quanto sto per scrivere:

divento triste

pensando alle foche uccise dai bracconieri,

e divento triste

vedendo un uomo mangiare da solo

con lo sguardo in basso,

e divento triste

quando immagino che un giorno la foresta Amazzonica

sarà solo un deserto di ricordi,

e divento triste quando perdo tempo,

e divento triste

quando mi ricordo che l'infanzia è un negativo

che non si può sviluppare,

e divento triste guardando il mare in tempesta,

e divento triste

sapendo che in ogni uomo c'è tanto così per cambiare le cose

ma non viene fuori,

e divento triste

quando mi convinco che per brillare

bisogna essere per forza una stella.

Ma molto

e molto

e molto felice divento

quando, guardandomi, penso che ci sei.


EMILIANO PASQUALIN






Elisa - Interlude

I wake up in the morning sun 
Mi sveglio nel sole del mattino

I work 'til I'm done 
Lavoro fino a quando sono esausta

I never look at the clock 
non guardo mai l'orologio

I'm living out of time 
sto vivendo fuori dal tempo

in my cocoon 
nel mio bozzolo.


smooth like water running down 
Lisci come acqua che scorre

my throat days slide away 
i miei giorni in gola scivolano via

drawing signs 
tracciano segni

I look ahead and back behind 
io guardo avanti e mi volto indietro

to see if my traces 
per vedere se le mie tracce

can make a straight line 
riescono a fare una linea dritta

the kids are laughing outside 
i bambini ridono fuori

no one looks at the sky 
nessuno guarda il cielo

sure it's gonna rain
certo sta per piovere 

and it's getting cold 
e comincia a far freddo

the wind starts to blow while 
il vento comincia a soffiare mentre.....

something's shaking my soul 
qualcosa sta scuotendo la mia anima

like a tree 
come un albero

but this time I know 
ma questa volta so

yeah 

this time I know 
questa volta so

it's simply you 
sei semplicemente tu

so I'll see you soon 
così ti vedrò presto

well 
bene

I'm here waiting
sono qui che aspetto.







martedì 27 novembre 2012

IF BUILDINGS COULD TALK




IF BUILDINGS COULD TALK

... some of them would sound like Shakespeare.
Others would speak like the Financial Times,
yet others would praise God, or Allah.
Some would just whisper,
some would loudly sing their own praises,
while others would modestly mumble a few words
and really have nothing to say.
Some are plain dead and don’t speak anymore...
Buildings are like people, in fact.
Old and young, male and female,
ugly and beautiful, fat and skinny,
ambitious and lazy, rich and poor,
clinging to the past
or reaching out to the future.
Don’t get me wrong: this is not a metaphor.
Buildings DO speak to us!
They have messages. Of course.
Some really WANT a constant dialogue with us.
Some rather listen carefully first.
And you have probably noticed:
Some of them like us a lot, some less
and some not at all.
Buildings, like people, are subject to time
and exist in a three-dimensional world.
That’s why our film is in 3D.
It’s an invitation to wander around,
to experience and to listen, for once.
The building you will encounter
is a particularly gentle and friendly one,
made for learning, reading and communicating.
Its hills and valleys (yes, they exist in there)
are eager to welcome you,
to help, to be of service,
and to be, in the best sense of the word,
a meeting place.

(by Wim Wenders, July 2010)



Se gli edifici potessero parlare

...alcuni di loro ci sembrerebbero Shakespeare.
Altri parlerebbero come il Financial Times,
altri ancora glorificherebbero Dio o di Allah.
Alcuni si limiterebbero a sospirare,
alcuni canterebbero a voce alta le loro lodi,
mentre altri mormorerebbero con pudore poche parole,
non avendo nulla da dire.
Alcuni sono morti del tutto e non parlano più...

Gli edifici sono esattamente come le persone.
Vecchi e giovani, maschi e femmine,
orrendi e bellissimi, grassi e magri,
ambiziosi e pigri, ricchi e poveri,
aggrappati al passato
o protesi verso il futuro
Non fraintendetemi: questa non è una metafora.
Gli edifici ci parlano DAVVERO!
Hanno dei messaggi per noi, ovviamente.
Alcuni VOGLIONO realmente avere con noi un dialogo costante.
Ci sono quelli che preferiscono prima ascoltare con attenzione.
Probabilmente vi sarete accorti di una cosa:
ad alcuni di essi piacciamo molto, ad altri meno
ad altri ancora non piacciamo affatto.

Gli edifici, come le persone, sono soggetti all'azione del tempo
ed esistono in un mondo tridimensionale.
Ecco perché il nostro film è in 3D.
E' un invito a girovagare,
a sperimentare e ad ascoltare, per una volta.

L'edificio che incontrerete
è particolarmente garbato e amichevole,
un luogo nato per imparare, leggere e comunicare.
Contiene colline e vallate (sì, anche lì esistono)
che sono ansiose di accogliervi,
di aiutarvi, di esservi d'aiuto
e di essere, nel senso più alto della parola,
un luogo di incontro

PENSIERI A MARGINE


Si legge, ci si incrocia per riconoscersi e si lascia tracimare il senso:


Mettere a tema un giorno sì e uno no la propria integrità, lavorare su di sé, darsi compiti e fini. Scongiurare l’atarassia. Eludere la noncuranza e l’indifferenza. Gli spettri dell’anima. Le atonie del cuore.

Oscillare tra i due partiti presi della resistenza senza compimento: l’accidia, cioè il rifiuto di spendersi e l’omissione in luogo dell’azione e, dall’altro verso, l’ “inquietudo corporis”, il muoversi a vuoto, senza mai trovare un “ubi consistam”, un luogo in cui davvero dimorare restando se stessi.

Forse necessitiamo di più filosofia e meno psicologia, bisognerebbe ripartire dai Greci, ricominciare da una prospettiva antica e moderna al tempo stesso. In ogni istante mettersi in pace con se stessi, il vero punto di resistenza all’accadere e all’essere è in fondo, tentare un equilibrio mai rassegnazione di qualcosa. Ripartire dall’idea che dobbiamo riconoscere che sì, siamo una potenza finita, un destino limite devoluti all’infinito del desiderio.  Non ci è concesso di essere più di quel che siamo e di quel che possiamo.  Sia l’accidia che la “instabilitas” sono rinunce e in ogni caso manchiamo, manchiamo sempre all’appello di noi stessi.  Soltanto nel movimento vi è progresso, nello scarto felice dell’inaspettato, nel frammento scagliato in alto, più in alto possibile, ma secondo l’etica del pensiero greco è necessario “farsi misura di se stessi”, convertirsi a sé, trasformare l’atto in significato. Restare attaccati alla terra così come Nietzsche raccomandava. Restare presso di sé. In solitudine auscultare le proprie metamorfosi, rammendare le lacerazioni e le mancanze, impunturare i vuoti. Non serve prendere la fuga, non serve coltivare un io grandioso, non serve gettare la spugna, l’etica del possibile è la sola immaginabile, è fatta dal nostro nome e porta il nostro viso e dice “io sono”. Essere lì dove si è.  Abitare la nostra finitezza ci salva dalla felicità degli stupidi, fatta di rimozione della sofferenza  e senza sofferenza non vi è mai vero godimento. Permanere è il nostro compito, quando tutto intorno a noi si muove e nulla resta mai lo stesso, e tutto è terribilmente complicato, permanere, pesarsi, erigere la nostra tenda lì dove si è. Chi gira a vuoto non sa dove si trova, chi resta nel rifiuto e nell’accidia non incrocia mai sé stesso.  Come si fa? Ecco la risposta di un filosofo della contemporaneità:
“Da soli.  Ci deve essere un punto e un momento da cui cominciare. E da dove se non da noi? Bisogna disfarsi degli alibi, bisogna afferrare il proprio limite e mantenersi entro questo confine. Per fare questo è opportuno agire un po’ di meno e pensare di più. Stare presso di sé. Non se ne ha la pazienza. Si crede di stare meglio se si sfugge ai problemi: al contrario, l’uomo trarrebbe maggior vantaggio se divenisse capace di ciò che Seneca chiamava la “conversio ad se”, se si raccogliesse per computare la propria potenza, acquisire competenza del suo desiderio e padroneggiarsi. Quanto valgo, cosa posso presumere per me senza cadere nella presunzione: cosa posso davvero. E su questa base agire o ritirarsi. Così Seneca scriveva a Lucilio: “Disce gaudere, impara a godere…desidero che non ti manchi mai la gioia, anzi, che ti nasca in casa; e nascerà purchè essa sia entro te stesso…essa non ti verrà mai meno, una volta che ne avrai trovato la sorgente…Mira al vero bene e gioisci di ciò che ti appartiene”. (S. Natoli)

lunedì 19 novembre 2012

trasparenze





... perché le trasparenze hanno più consistenza di tutto il visibile e perché i pensieri si congiungono da qualche parte, fermaposti cristallini di ciò che non cede...


Più trasparente
di quella goccia d’acqua
tra le dita del rampicante
il mio pensiero tende un ponte
da te stessa a te stessa.
Guardati
più reale del corpo che abiti
ferma in mezzo alla mia fronte
 
Sei nata per vivere in un’isola

OCTAVIO PAZ


RECIPROCITA'





Ci sono cataloghi di cataloghi.
Poesie sulle poesie.
Drammi su attori recitati da attori.
Lettere a causa di altre lettere.
Parole per spiegare le parole.
Cervelli intenti a studiare il cervello.
Tristezze contagiose come una risata.
Carte che provengono dal macero di carte.
Sguardi veduti.
Casi declinati secondo i casi.
Fiumi grandi con serio contributo dei piccoli.
Boschi ricoperti di bosco fino al ciglio.
Macchine adibite a fabbricare macchine.
Sogni che all’improvviso ci destano dai sogni.
Salute necessaria per tornare in salute.
Tanti scalini a scendere quanti sono a salire.
Occhiali per cercare gli occhiali.
Respiro che inspira ed espira.
E almeno una volta ogni tanto
ci sia l’odio dell’odio.
Perché alla fin fine
c'è l’ignoranza dell’ignoranza
e mani reclutate per lavarsene le mani.

Wisława Szymborska, Basta così, Adelphi 2012

sabato 10 novembre 2012

sabato 13 ottobre 2012

L'ALEPH


Perché Aleph ? Per la sua rifrangenza di significati, per le sue valenze multiple, per lo spessore simbolico e leggendario stratificato nel tempo. Per il suo mistero oscuro essendo cominciamento e fine, uno e tutto, finito e infinito. Per il suo significato araldico, paradigma di ogni cambiamento.
Per iniziare, Aleph-zero è un simbolo usato in matematica per indicare la cardinalità delle numerabilità, ovvero, il numero degli insiemi di un insieme finito. L'Aleph zero viene considerato il numero più piccolo che è possibile concepire, una sorta di atomo. E' tuttavia la prima lettera dell'alfabeto ebraico e il numero 1. E' L'UNO primordiale che contiene in sé tutti i numeri. Riveste un significato esoterico perla Cabala giudaica ma è anche la prima lettera dell'alfabeto arabo, fenicio, aramaico e siriano.
In filosofia è parente stretto della monade di Leibniz, filosofo e matematico del Settecento.
In letteratura Aleph è adottato dall'argentino Borges, lo scrittore della pluralità del senso e della biblioteca dell'universo, dei riflessi speculari tra cattedrali, labirinti e colonne surreali, sogni di sogni, parole chiaroscure, scacchiere del tempo. 
Per Borges esso è il punto di inizio verso il quale tutte le cose fanno ritorno e al quale tutte le cose tendono. E' INIZIO, TUTTO, FINE. L'UNO plotiniano dal quale tutto nasce e al quale tutto ritorna con la sua fine. 
Nel racconto di Borges Aleph è il punto nello spazio che contiene tutti gli altri punti. Chiunque fissi lo sguardo su di esso può vedere ogni cosa nell'universo da ogni angolo simultaneamente, senza distorsioni, sovrapposizioni, o confusione. A me fa venire in mente il verso dei Vangeli, credo Paolo: 
Videmus nunc per speculum in enigmate, tunc autem facie ad faciem"  
Ora vediamo le cose attraverso uno specchio, per enigmi, ma un giorno le vedremo faccia a faccia  (Paolo di Tarso Cor I,13,12)
Il racconto si pone in asse al tema dell'infinito presente in diverse opere di Borges come The Book of Sand. E' la storia dello scontro confronto tra due scrittori, tra rincorse a caccia di ispirazione e tormenti dell'anima e letterari senza fine. Si potrebbe trattare però, anche del racconto di un pazzo, persuaso dell'esistenza dell'Aleph nella cantina della propria casa.
La leggenda vuole che chi abbia guardato anche solo per una volta l'Aleph, non sia mai più lo stesso. 

NON CREDERE





Questo c'è da dire a chi nasce e a chi cresce...recuperare alla vista la bellezza e lo splendore, lavare, scrostare le "cortecce vive" perché non è vero che tutto è fango e rabbia e declino inesorabile. Portiamocelo addosso questo futuro della specie. Con gli occhi aperti. 


Bambina mia,

Per te avrei dato tutti i giardini


del mio regno, se fossi stata regina,


fino all’ultima rosa, fino all’ultima piuma.


Tutto il regno per te.




E invece ti lascio baracche e spine,

polveri pesanti su tutto lo scenario


battiti molto forti


palpebre cucite tutto intorno. Ira


nelle periferie della specie. E al centro 


ira.



Ma tu non credere a chi dipinge l’umano

come una bestia zoppa e questo mondo


come una palla alla fine.


Non credere a chi tinge tutto di buio pesto e


di sangue.  Lo fa perché è facile farlo.




Noi siamo solo confusi, credi.

Ma sentiamo. Sentiamo ancora.


Sentiamo ancora. Siamo ancora capaci


di amare qualcosa.



Ancora proviamo pietà.



Tocca a te, ora,

a te tocca la lavatura di queste croste


delle cortecce vive.




C’è splendore

in ogni cosa.  Io l’ho visto.


Io ora lo vedo di più.


C’è splendore.  Non avere paura.




Ciao faccia bella,

gioia piu’ grande.


L’amore è il tuo destino.


Sempre.  Nient’altro.


Nient’altro.  Nient’altro.





Mariangela Gualtieri

UN PO' DELLA TUA VOCE




Questi versi me li porto dietro dall'adolescenza. Letti più volte e ricopiati come un mantra salvifico. Per non dimenticare quelli che abbiamo incontrato e che hanno lasciato il segno. Oserei dire i maestri. Pochi.  "Un po' della tua voce risuona nel mio canto"...accade questo quando qualcuno ci ha insegnato. E diventiamo noi,  ma portiamo anche quello che abbiamo ammirato. Come un calco segreto. Non c'è oblio per la strana geometria dell'essere.  



Non saprai mai che la tua anima viaggia

come in fondo al mio cuore,

dolce cuore adottivo;


e che nulla, né il tempo,


gli altri amori, gli anni,


impediranno mai che tu sia stato.


Che la beltà del mondo ha già il tuo viso,


di tua dolcezza vive,


splende del tuo chiarore,


e all’orizzonte il pensieroso lago


narra soltanto la tua serenità.


Non saprai mai che porto la tua anima


come una luce d’oro che rischiara i passi;


che un po’ della tua voce


suona nel mio canto.


Dolce fiaccola i tuoi raggi,


dolce braciere la tua fiamma,


mi insegnano il cammino dei tuoi passi,


e un poco ancora vivi, perché ti sopravvivo.


 

MARGUERITE YOURCENAR



QUELLI COME ME







Quelli come te, che hanno due sangui diversi nelle vene, 

non trovano mai riposo né contentezza;

 e mentre sono là, vorrebbero trovarsi qua,

e appena tornati qua, subito hanno voglia di scappar via. 


Tu te ne andrai da un luogo all’altro, 


come se fuggissi di prigione, o corressi in cerca di qualcuno; 


ma in realtà inseguirai soltanto le sorti diverse che si mischiano nel tuo

 sangue, 

perché il tuo sangue è come un animale doppio, 


è come un cavallo grifone, come una sirena. 


E potrai anche trovare qualche compagnia di tuo gusto,


fra tanta gente che s’incontra al mondo; 


però, molto spesso, te ne starai solo. 


Un sangue-misto di rado si trova contento in compagnia: 


c’è sempre qualcosa che gli fa ombra, 


ma in realtà è lui che si fa ombra da se stesso, 


come il ladro e il tesoro, che si fanno ombra uno con l’altro.




(E. Morante)