mercoledì 24 marzo 2010

Difesa dell'allegria



Difendere l’allegria come una trincea
difenderla dallo scandalo e dalla routine
dalla miseria e dai miserabili
dalle assenze transitorie
e da quelle definitive

difendere l’allegria come un principio
difenderla dallo sbalordimento e dagli incubi
dai neutrali e dai neutroni
dalle dolci infamie
e dalle gravi diagnosi

difendere l’allegria come una bandiera
difenderla dal fulmine e dalla malinconia
dagli ingenui e dalle canaglie
dalla retorica e dagli arresti cardiaci
dalle endemie e dalle accademie

difendere l’allegria come un destino
difenderla dal fuoco e dai pompieri
dai suicidi e dagli omicidi
dalle vacanze e dalla fatica
dall’obbligo di essere allegri

difendere l’allegria come una certezza
difenderla dall’ossido e dal sudiciume
dalla famosa patina del tempo
dalla rugiada e dall’opportunismo
dai prosseneti della risata

difendere l’allegria come un diritto
difenderla da Dio e dall’inverno
dalle maiuscole e dalla morte
dai cognomi e dalle pene
dal caso
e anche dall’allegria

Mario Benedetti

bottiglia nel mare



El mar es un azar
- Vincente Huidobro


Affido questi sei versi alla mia bottiglia nel mare
con il segreto proposito che un giorno
giunga ad una spiaggia quasi deserta
e un bambino la trovi e la stappi
e invece che versi estragga piccole pietre
e aiuti e ammonimenti e lumache.


Mario Benedetti

la vertigine senza modernità



In noi vi sono tutte le passioni
e tutti i vizi
e tutti i soli e le stelle
abissi e alture,
alberi, animali, boschi, fiumi.
Questo siamo.
Le nostre esperienze
sono nelle nostre vene,
nei nostri nervi.
Vacilliamo.
Ardenti
tra grossi blocchi di case.
Sopra ponti d'acciaio.
Luce da mille tubi
ci avvolge,
e mille notti violette
incidono rughe profonde
nei nostri volti.



George Grosz


E’ proprio lui, il disegnatore e pittore tedesco del deforme e del grottesco, il critico feroce della decadenza della borghesia a cavallo delle due guerre, l’ esponente della corrente della Nuova Oggettività, amico di Otto Dix e di tutte le avanguardie del Novecento: George Grosz. Nel 1933 fuggì dalla Germania nazista per riparare a New York. Durante l’esilio americano egli scoprì il giovane talento di Andy Warhol e mostrò una sana antipatia per Jackson Pollock.
In questa poesia espressionista Grosz ripropone la visione di una modernità “tentacolare”,dalle luci violette come quelle dell’inferno dantesco, fatta di mille tubi che stritolano e di vite in bilico sopra “ponti d’acciaio”. Nulla da invidiare alle atmosfere del T.S. Eliot della Terra Desolata”e del resto, già Thomas Mann parlava della città come di una "Weltstadt prussiana americana". New York come Berlino, come Londra, come Tokyo, Parigi… “questo siamo” scriveva Grosz, eh sì, nel mondo omogeneizzato e reso conforme da merci e denaro il “vacillare” non è lo stordimento futurista, l’ebbrezza della corsa verso le promesse dell’avvenire ma la trasfigurazione del volto dell’umano, le rughe della specie: “le nostre esperienze sono nelle nostre vene, nei nostri nervi”. Nessuna apocalisse da coniugare al futuro per Grosz, come diceva Heidegger “il terribile è già accaduto”.


polange




LA BIBLIOTECA DELLE IMMAGINI MAI VISTE



«Io ascolto senza guardare e così vedo»
Pessoa

"Le immagini non sono più quelle di un tempo. Impossibile fidarsi di loro. Lo sappiamo tutti. Lo sai anche tu. Mentre noi crescevamo le immagini erano narratrici di storia e rivelatrici di cose. Ora sono tutte in vendita con le loro storie e le loro cose. Sono cambiate sotto i nostri occhi. Non sanno più come mostrare noi. Hanno dimenticato tutto. Le immagini vengono vendute al di là del mondo, Winter, e con grossi sconti. [...] Io amo davvero questa città. Lisboa e c’è stato un tempo che io veramente l’ho vista di fronte ai miei occhi. Ma puntare una cinepresa è come puntare un fucile e ogni volta che la puntavo mi sembrava come se la vita si prosciugasse dalle cose. E io giravo, giravo, ma ad ogni colpo di manovella la città si ritraeva. Svaniva sempre di più, sempre di più. Come il gatto di Alice. Nada. Stava diventando insopportabile. Dio lo spavento che mi ha preso. A questo punto ho cercato il tuo aiuto. E per un po’ ho vissuto con l’illusione che il suono potesse salvare il giorno, che i tuoi microfoni potessero strappare le mie immagini dalle loro tenebre. No, non c’è speranza. Non c’è speranza per nulla, Winter. Non c’è speranza, Ma questa è la strada Winter e io voglio percorrerla. Ascolta. Un’immagine che non sia stata vista non può svendere nulla. È pura e perciò vera e meravigliosa. Insomma innocente. Finché nessun occhio la contamina è in perfetto unisono con il mondo. Se nessuno l’ha guardata, l’immagine e l’oggetto che rappresenta, sono uno dell’altra. Sì, una volta che l’immagine è stata vista l’oggetto che è in essa muore. Ecco, Winter, la mia biblioteca delle immagini non viste. Ognuno di questi nastri è stato girato senza che nessuno guardasse attraverso la lente, Nessuno li ha visti mentre venivano impressi. Nessuno, dopo, che li abbia controllati. Tutto quello che ho ripreso, l’ho ripreso alle mie spalle. Queste immagini mostrano la città com’è e non come vorrei che fosse. Insomma queste sono nel primo dolce sonno dell’innocenza. Pronte per essere scoperte da generazioni future con occhi diversi dai nostri. Non preoccuparti amico saremo morti da un pezzo".

[La biblioteca delle immagini mai viste – Lisbon Story Wim Wenders 1994 ]

Il mondo così com’è e non come vorremmo che fosse … un percorso inverso, l’unico in grado di restituire vita alla vita, quello proposto in Lisbon Story, dove l’occhio non forgia il taglio dell’immagine né il suo senso ma sparisce in ciò che non vede e non può vedere. La lente, oggetto senza attore, crea una semantica sconosciuta che racconta di altri oggetti, un universo che sfugge all’umano e che forse potrà raccontarlo nell’innocenza del distacco più radicale, nel “non esserci” e “non interpretare”, nel mondo che si spiega da sé … Tutto ciò per sottrarsi all’immagine commercializzata, al ritratto devastato e svilito da un occhio che non è più capace di guardare né di narrare ma solo di vendere e confezionare mentre la realtà si allontana, si ritrae con i rivoli chiaroscuri che ne costituivano l’irrinunciabile esegesi. La strada da percorrere è l’oblio dell’occhio antropico, alla canna di fucile della macchina da presa, killer evidente del reale per difetto di umanità dell’umano non può che opporsi il glaciale sguardo della lente senz’iride, aspettando bulbi oculari che facciano sponda dal futuro al fine di tradurre il puro non visto e a rendere grazia alla grazia. Wenders anticipa nel 1994 la questione di questo nuovo decennio, un tempo in cui gli umani si vanno oggettivizzando e l’oggetto è capace di animarsi di vita propria, un interscambio che un giorno lontano,lontanissimo per noi, forse potrà ricomporsi e ritrovare il suo giusto posto.
Nel suo film è il suono, la musica dei Madredeus a segnare ancora l’impronta dell’umano, sono i rumori della città di Lisbona a dilatare il senso del reale e dell’immaginifico sprangati in una visione ormai cieca e strabordante di assenza .
polange