domenica 30 agosto 2009

LE ISOLE FORTUNATE

Quale voce viene sul suono delle onde
che non è la voce del mare?
E' la voce di qualcuno che ci parla,ma che, se ascoltiamo, tace,
proprio per esserci messi ad ascoltare.
E solo se, mezzo addormentati,
udiamo senza sapere che udiamo,
essa ci parla della speranza
verso la quale, come un bambino
che dorme, dormendo sorridiamo.


Sono isole fortunate,
sono terre che non hanno luogo,
dove il Re vive aspettando.
Ma, se vi andiamo destando,
tace la voce, e solo c'è il mare.

Fernando Pessoa


Le isole fortunate sono quelle che riusciamo a creare in certi momenti intensi, di satori realizzato nella pienezza dell'essere, in sè perfetti nella visione interiore e nell'unità degli elementi, e che che vorremmo fermare come l'attimo eterno di Faust ma che ci limitiamo a perdere e a ritrovare altrove, in altro passante del tempo, in altra latitudine...







COS'E' IL MARE?







“Ci sono poeti e scrittori che ti accompagnano dappertutto. Presenze quotidiane. Non c’è bisogno di rileggerli, sono sempre con te”
CIORAN



Inayat Khan racconta una storia indù di un pesce che andò da un pesce regina e gli domandò: “Sento sempre parlare del mare, ma che cos’è questo mare? Dov’è?”. Il pesce regina spiegò: “Tu vivi, ti sposti e hai la tua esistenza nel mare. Il mare è dentro di te e fuori di te, e tu sei fatto di mare, e finirai nel mare. Il mare ti circonda come il tuo proprio essere”.

giovedì 27 agosto 2009

IL DIO DELLE PICCOLE COSE


“Amare. Essere amati. Non dimenticare mai la propria insignificanza. Non assuefarsi mai alla indicibile violenza e alla grossolana disuguaglianza della vita intorno a te. Cercare la gioia nei posti piu’ tristi. Inseguire la bellezza fin dentro la sua tana. Non semplificare mai le cose complicate e non complicare mai quelle semplici. Rispettare la forza, mai il potere. E, soprattutto guardare. Cercare di capire. Non distogliere mai lo sguardo. E mai, mai dimenticare”
Arundhati Roy
"To love. To be loved. To never forget your own insignificance. To never get used to the unspeakable violence and the vulgar disparity of life around you. To seek joy in the saddest places. To pursue beauty to its lair. To never simplify what is complicated or complicate what is simple. To respect strength, never power. Above all, to watch. To try and understand. To never look away. And never, never, to forget."


venerdì 21 agosto 2009

Si affilia il filo azzurro delle notti

Si affilia il filo azzurro delle notti,
soffia in tutto ciò che v’è di caro,
e qualcuno chiamava con languore,
pensando alle amarezze della sera.
Ciò accadeva quando sulle barche
si accendevano tre stelle d’oro,
e quando una tuia solitaria
distese sopra una tomba i suoi rami.
Ciò accadeva quando i titanidi scarlatti turbanti si vestivano,
e l’impeto illegale d’un monsone
era bello, ignorandone il motivo.
Ciò accadeva quando i pescatori
cantavano parole di Odisseo,
e in lontananza sul flutto marino
un’ala in alto si levava sghemba.

Velimir Chlebnikov

Traduzione di Angelo Maria Ripellino Crocetti Editore 2005

sabato 15 agosto 2009

TEMPO PERDUTO TEMPO RITROVATO

Omnia tempus habent...il tempo perduto non è che quello ritrovato.

C'è una grazia soave

nella memoria che tesse il ricordo e

uno stupore improvviso nel cercarsi lungo le linee dell'accadere,

dell'accaduto,

e riconoscersi,

sempre.

Polange



"PERDUTO TEMPO

Tempo. Perduto tempo
Piazza Navona come altri cento
Giorni di vento,
vento e fontane
Segnano il tempo con le campane


Tempo. Da noi sconfitto
L¹ultimo raggio da un cielo fitto
Castigo nero, puntuale
Piove sopra a un ospedale
E dolcemente sulla via

Tempo!
Mondo di sogno
Mezze creature superumane
Sento chitarre gatti-suonare
E lancinanti come zanzare


Tempo, sembra leggero
Poi d'improvviso tutto è importante
Ogni dettaglio significante
Può divenire significato
E ora non c¹è patria e non c'è Dio
Ma ci sei tu ci sono io


E tutto il resto sembra càos


Sembra niente

Tempo! Lascia passare
Questo tempo che forse
Stanotte ci fa cantare
Tempo: basta parlare!


Solo ascoltare quello che hai dentro
Ma prima che il fuoco del tutto sia spento
Trova una strada e battila in fondo
Tempo, ci lascia muti
Ad osservare i nostri errori

Tempo...
Fermare il tempo

Sarebbe a dire: l'Eternità
E ora non c'è patria e non c'è Dio
Ma ci sei tu ci sono io
E tutto il resto sembra càos
Sembra niente

Tempo! Lascia passare!
Questo tempo che forse
Stanotte ci fa cantare.


Sergio Cammariere


PELLEGRINA E STRANIERA



Noi abbiamo una sola vita: se anche avessi fortuna, se anche raggiungessi la gloria, di certo sentirei di aver perduto la mia, se per un solo giorno smettessi di contemplare l'universo.


Marguerite Yourcenar


(da Pellegrina e straniera)

venerdì 14 agosto 2009

EL HOMBRE PLANETARIO


Io sono l’abitante delle pietre
senza memoria, sete d’ombra verde;

io sono il popolano di tutti i villaggi
e delle prodigiose Capitali;
sono l’Uomo Planetario,
marinaio di tutte le finestre
della terra stordita dai motori.
Sono l’uomo di Tokyo, che si nutre
di pesciolini e bambù,
il minatore d’Europa,
fratello della notte;
l’operaio del Congo e della sabbia,
il pescatore della Polinesia,
sono l’indio d’America, il meticcio, il giallo, il nero:
e sono tutti gli altri uomini del pianeta.
Sul mio cuore firmano i popoli
un accordo di pace fino alla morte.

Jorge Carrera Andrade nato a Quito (1903-1978). E’ un poeta ecuadoriano. La sua opera, sensibile alle realtà degli indigeni, è profondamente suggestionata dalle sue esperienze di vita. “El Hombre planetario” è un lungo poema incluso nella raccolta che comprende le poesie scritte tra il 1957 e il 1963. Nel 1977 ha ricevuto il Premio Nacional de Cultura di Ecuador.

martedì 11 agosto 2009

NON DISPREZZARE

Non disprezzare il poco, il meno, il non abbastanza
L’umile, il non visto, il fioco, il silenzioso
Perché quando saranno passati amori e battaglie
Nell’ultimo camminare, nella spoglia stanza

Non resteranno il fuoco e il sublime, il trionfo e la fanfara
Ma braci, un sorso d’acqua, una parola sussurrata, una nota
Il poco, il meno il non abbastanza


STEFANO BENNI, Inedito


Grazie al Lupo

domenica 9 agosto 2009

L'ETICA DEL VIANDANTE


Gli anni che stiamo vivendo hano visto lo sfaldarsi di un dominio, e insieme hanno accennato a quel processo migratorio che confonderà i confini dei territori su cui si orientava la nostra geografia. Usi e costumi si contaminano e, se “etica vuol dire “costume”, è possibile ipotizzare la fine delle nostre etiche, fondate sulle nozioni di proprietà, territorio e confine, a favore di un’etica che, dissolvendo recinti e certezze, va configurandosi come etica del viandante che non si appella al diritto, ma all’esperienza.
Infatti, a differenza dell’uomo del territorio che ha la sua certezza nella proprietà, nel confine e nella legge, il viandante non può vivere senza elaborare la diversità dell’esperienza, cercando il centro non nel reticolato dei confini, ma in quei due poli che Kant indicava nel “cielo stellato” e nella “legge morale”, che per ogni viandante hanno sempre costituito gli estremi dell’arco in cui si esprime la sua vita in tensione. Senza meta e senza punti di partenza e di arrivo, che non siano punti occasionali, il viandante, con la sua etica, può essere punto di riferimento dell’umanità a venire, se appena la storia accellera i processi di recente avviati, che sono nel segno della deterritorializzazione.
Fine dell’uomo giuridico a cui la legge fornisce gli argini della sua intrinseca debolezza, e nascita dell’uomo sempre meno soggetto alle leggi del paese e sempre più costretto a fare appello ai valori che trascendono la garanzia del legalismo. Il prossimo, sempre meno specchio di me e sempre più “altro”, obbligherà tutti a fare i conti con la differenza, come un giorno, ormai lontano nel tempo, siamo stati costretti a farli con il territorio e la proprietà.
La diversità sarà il terreno su cui far crescere le decisioni etiche, mentre le leggi del territorio si attorciglieranno come i rami secchi di un albero inaridito. Fine del legalismo e quindi dell’uomo come l’abbiamo conosciuto sotto il rivestimento della proprietà, del confine e della legge, e nascita dell’uomo più difficile da collocare, perché viandante inarrestabile , in uno spazio che non è garantito neppure dall’aristotelico “cielo delle stelle fisse”, perché anche questo cielo è tramontato per noi.
E con il cielo la terra, perché è stata scoperta come terra di protezione e luogo di riparo. Tagliati gli ormeggi, l’orizzonte si dilata, il suo dilatarsi lo abolisce come orizzonte, come punto di riferimento, come incontro della terra con il suo cielo. E questo perché, scrive Nietzsche:
Abbiamo lasciato la terra e ci siamo imbarcati sulla nave. Abbiamo tagliato i ponti alle nostre spalle – e non è tutto! Guardati innanzi! Ai tuoi fianchi c’è l’oceano: è vero non sempre muggisce, talvolta la sua distesa è come seta e oro e trasogna mento della bontà. Ma verranno momenti in cui saprai che è infinito e che non c’è niente di più spaventevole dell’infinito, Oh quel misero uccello che si è sentito libero e urta ora nelle pareti di questa gabbia! Guai se ti coglie la nostalgia della terra – e non esiste più “terra” alcuna.


Umberto Galimberti, La casa di psiche, DALLA PSICOANALISI ALLA PRATICA FILOSOFICA, Feltrinelli, 2005

giovedì 6 agosto 2009

IL DONO

Ti dono, non per compiacermi
Nè per soddisfare un sogno imperioso
Che mi capita di avvicinare soltanto
quando la mia mano a forza di immaginare
E di spezzare, a forza di essere muta,
Me ne fa riconoscere una vibrazione
Quando un chiarore sta per sorgere dalle tenebre.

Ti dono, per perdonarmi di essere in questo mondo
E di continuare ad esserlo.
Ti dono, per essere sicuro
Che qualche volta per tutti noi
Possa brillare una luce misteriosa.
Ti dono...


Parole che Andrè Frenaud in una sua poesia, La fidanzata ebrea, attribuisce a Rembrandt.

martedì 4 agosto 2009

L'onda che si fa orizzonte

Un vento nero
ha oscurato, improvviso,
la laguna, rotta, crestata
di livide schiume.
Qui sottocasa l’onda batte forte
come un cuore impazzito.
Ma laggiù, vedi,
dov’essa fa orizzonte,
non è che pace e luce
è una linea retta di luce
che taglia l’infinito.

Diego Valeri, Poesie inedite o “come”San Marco dei Giustiniani ,1977

LIMPIDI SOGNATORI





Questa scena è tratta dal film “Pasolini – Un delitto italiano” di Marco Tullio Giordana

"L'intelligenza non avrà mai peso,
mai nel giudizio di questa pubblica opinione.
Neppure sul sangue dei lager,
tu otterrai da uno dei milioni d'anime della nostra nazione,
un giudizio netto, interamente indignato:
irreale è ogni idea, irreale ogni passione,
di questo popolo ormai dissociato
da secoli, la cui soave saggezza
gli serve a vivere, non l'ha mai liberato.

Mostrare la mia faccia, la mia magrezza -
alzare la mia sola puerile voce -
non ha più senso: la viltà avvezza
a vedere morire nel modo più atroce
gli altri, nella più strana indifferenza.
Io muoio, ed anche questo mi nuoce. "
(Da: "La Guinea", Poesia in forma di rosa, in "Bestemmia", volume primo, Garzanti, Milano 1993)

Ho riletto gli Scritti corsari di recente, e ancora non vedo in giro un intellettuale così lucido nell'analisi impietosa del traghettamento degli italiani da una società semplice, umile, contadina, alla società dello "sviluppo senza progresso", nella quale aumenta benessere e agiatezza mentre diminuisce progressivamente il livello culturale e l'umana comprensione.
Una cara amica mi ha inviato oggi un messaggio citando una frase appena letta e che ha voluto condividere con me: " Sognatore è chi trova la sua via alla luce della luna...Punito perchè vede l'alba prima degli altri". (OscarWilde) Pasolini era un limpido sognatore.

SCATTI CELEBRI

Dmitrij Sostakovic e Anna Achmatova, il compositore musicista e la poetessa, entrambi perseguitati a lungo dal regime comunista, ebbero un incontro ufficiale a Kamarovo, nei pressi di Leningrado. La situazione si rivelò piuttosto imbarazzante perchè, come narra Sostakovic nelle sue Testimonianze, nonostante il reciproco apprezzamento, egli aveva preso un po' alla leggera l'incontro, vestendosi in maniera sciatta e immaginandosi una anziana grassona . Ecco come lo racconta:

Alla vista della Achmatova, mi sono sentito nervoso. Lei era una grande dame, un personaggio assolutamente regale: la celebre poetessa, abbigliata di tutto punto. Era chiaro che aveva scelto accuratamente i vestiti da mettersi, preparandosi per lo storico incontro, e comportandosi poi in maniera proporzionata all'occasione. E io lì, senza cravatta. Mi sentivo nudo.
Stavamo seduti silenziosi. Zitto io, zitta lei. Per un po' non ci siamo detti niente, e poi ci siamo separati. Più tardi ho saputo che lei aveva detto: "E' venuto a trovarmi Sostakovic. Abbiamo avuto una lunga conversazione, abbiamo parlato di tutto."
E' così che vanno gran parte degli incontri storici, e il resto ha luogo solo nelle memorie: io gli ho detto, lui mi ha detto, e allora io...Tutte balle. Mi chiedo se il pubblico sa come vengono riprese le fotografie storiche, quando capita che due "celebrità" siano sedute l'una accanto all'altra, senza sapere di che parlare. "Di che cosa parliamo, visto che non abbiamo niente da dirci?". E a questo punto flash. L'altro metodo, che è di mia invenzione, consiste nel ripetere: "ottantotto, ottantotto". E non occorre neppure sorridere perchè le parole ti stirano le labbra in una smorfia che sembra un sorriso, e così si dà l'impressione di una vivace espressione. I fotografi sono felici e se la svignano in fretta.

Dmitrij Sostakovic, Testimonianza, Mondadori, 1989

PENSIERO

Dice Heidegger che nell'uniformità oggi imperante "il terribile è già accaduto":
gli uomini-scimmia, i topi delle cantine dell'anima, gli amanti delle vogliuzze diurne e notturne, i praticanti delle piccole paure.

Facciamo un salto di umanità se è possibile.








ANIMA




ANIMA


Anima ti sembran tempi per parlar dell'anima?
Non ci sono più diavoli,
che la richiedono
preferiscono i titoli
è fuori moda l’anima.
Anima
se ti duole l’anima non servono antibiotici
i medici si arrendono
non ci sono meccanici
non si ripara l’anima.
E ci sono paesi
di poche anime
e ci sono città
di milioni di anime
ma non si vedono
si vede solo il traffico
e le file ai semafori
è solitaria l’anima.

Anima
io l’ho vista una volta la mia anima
mi era uscita di bocca
come il fumo di un sigaro
mi ha chiesto se ero
stanco di vivere
ho detto: sì
ma vorrei insistere
e con un gemito
tornò al posto solito
è paziente l’anima.
Anima
ci sono belle anime
in corpi ridicoli e fotomodelle
con anime orribili
e fanghiglia d’anima
dentro molti politici
è nascosta l’anima.
E ci sono villaggi
di poche anime
e ci sono paesi
di milioni di anime
e quando muoiono
e in cielo salgono
è un grande spettacolo
un ingorgo cosmico
e i giornali commentano
centomila vittime
ma erano anime inutili
di lontani popoli
mesopotamici
e si piange un attimo
poi ci si lava l’anima
e si dimentica.


Anima -Ballate- Stefano Benni

ROSA DI PERSIA

Ero perso con lo sguardo verso il mare
Ero perso con lo sguardo nell'orizzonte,
tutto e tutto appariva come uguale;
poi ho scoperto una rosa in un angolo di mondo,
ho scoperto i suoi colori e la sua disperazione
di essere imprigionata fra le spine
non l'ho colta ma l'ho protetta con le mie mani,
non l'ho colta ma con lei ho condiviso e il profumo e le spine tutte quante.


Hafez
poeta persiano del XIV secolo

La figura di Hafez, il più grande e popolare poeta d'amore della cultura persiana, rappresenta l'accostamento tra l'ortodossia delle scuole coraniche, la mistica intensità dei dervisci, la spinta alla libertà laica nell'Iran contemporaneo.

WHAT NOW FOR IRAN?

Ancora Iran. Incerto al momento l’esito della protesta verde ma sempre più solo e delegittimato il neoeletto Ahmadinejad. Non vi è vera e propria rivoluzione a dire il vero, ma l’inasprirsi di una crisi di regime su un fronte, la spaccatura tra il clero conservatore e quello moderato, e la ferma e continua indignazione del popolo in strada, di tutti coloro che sono stati depredati del proprio voto con un golpe malcelato nel nome di una rivoluzione, quella sì, che aveva spazzato il crudele e mesto teatrino coloniale occidentale retto dallo Scià nel 1979. La rivoluzione islamica, sfociata nella istituzione di una Repubblica islamica, come tutte le rivoluzioni, aveva prodotto da subito, un risultato eguale e contrario, l’esoso prezzo da pagare per ottenere l’ indipendenza dall’Occidente che aveva mostrato il suo volto più sprezzante e impietoso, quello del controllo ad ogni costo del potere su quella regione strategica. Ma già all’epoca della promessa, in seguito delusa, del presidente Khatami e la sua ardimentosa “lettera per il domani” si era fatta strada un’idea seducente di paese democratico e aperto, padrone del proprio destino e delle proprie risorse, di uno stato laico fondato non sull’oscurantismo fondamentalista ma sulla società civile e il rispetto dei diritti umani. Perché la democrazia può essere coniugata con l’Islam a patto di liberarsi del ciarpame ottuso e falsamente misticheggiante .

Il processo di modernizzazione di questo paese, a lungo bloccato dall’avidità dell’imperialismo occidentale che lo ha asservito ai suoi bisogni e poi dalla lugubre teocrazia degli ayatollah, sta seguendo un cammino impervio, e ancora oggi, l’Iran si presenta come una prigione per i suoi stessi cittadini. Ma la censura al tempo del Web 2.0 fatica a stringere le sue maglie, nonostante le strumentazioni da Big Brother orwelliano dell’apparato governativo. Quante donne e quanti uomini dovranno imprigionare, picchiare, ammazzare, per impedire la comunicazione nell’era della comunicazione?
La Guida Suprema spirituale del paese, l’ayatollah Khamenei, sembra perdere terreno e credibilità nell’ostinato proposito di proseguire sulla linea intrapresa creando una frattura difficilmente ricomponibile all’interno del clero integralista in un paese ormai diviso dai suoi governanti. Ma i rapporti con il neopresidente sembrano già essersi raffreddati, così come è emerso dalla cerimonia di insediamento.
Ieri, su Al Jazeera English un docente e studioso di politica estera americana e islamica, Bernd Kaussler ha scritto che il presidente Ahmadinejad sta ora combattendo su tre fronti: contro i conservatori, in dubbio sulle sue competenze e sulla consistenza del suo programma politico, contro i riformisti, che stanno essenzialmente combattendo per la loro sopravvivenza politica, e contro il suo stesso popolo sceso nelle strade. La battaglia di questi giorni segnerà l’inizio del rinnovamento per il paese dallo smisurato e composito patrimonio storico e culturale, capace di fluire con raffinata intelligenza nella modernità più saggia, oppure, vedrà il dischiudersi della tetra deriva dittatoriale con la fine inevitabile della Repubblica islamica.

domenica 2 agosto 2009

LA MEMORIA E LA DIMENTICANZA



Un bravo professore ai tempi dell'università, un germanista, lesse l'ultimo giorno di corso, a noi, studenti di storia del teatro, questa poesia di Brecht. Non ho mai dimenticato quel momento.
Esiste la memoria del passato e della storia universale e personale che non va mai rimossa, quella che rischiara l'orizzonte del presente e si predispone a ridisegnare il futuro, la memoria che è culto, cultura, pietra sulla quale edificare, valore e mappa della geografia morale di un essere, di un popolo sulla terra. Ricordare è dar vita a ciò che non è più, è rendere eternità a ciò che è stato. Forse, l'ultima traccia di divinità che ci è rimasta.

Eppure, non sempre è buona cosa ricordare. La memoria talvolta è costretta ad effettuare dei salti acrobatici, a costruire vuoti salvifici intorno agli strappi e alle lacerazioni fondamentali della nostra esistenza, è la dimenticanza per la sopravvivenza, importante viatico del viaggiatore dell'umano, quella che permette di camminare e di continuare, che fa sì che vi sia un andare "oltre" che altrimenti ci schiaccerebbe. La dimenticanza è la strategia del finito e la resa inconsapevole al nostro incessante mutare, al fiorire e allo sfiorire delle cose.

POLANGE


Elogio della dimenticanza

Buona cosa è la dimenticanza !
Altrimenti come farebbe
il figlio ad allontanarsi dalla madre che lo ha allattato ?
che gli ha dato la forza delle membra
e lo trattiene per metterle alla prova ?
Oppure come farebbe l'allievo ad abbandonare il maestro
che gli ha dato il sapere ?
Quando il sapere è dato
l'allievo deve mettersi in cammino.
Nella casa vecchia
prendono alloggio i nuovi inquilini.
Se vi fossero rimasti quelli che l'hanno costruita
la casa sarebbe troppo piccola.
La stufa riscalda. Il fumista
non si sa più chi sia. L'aratore
non riconosce la forma di pane.
Come si alzerebbe l'uomo al mattino
senza l'oblio della notte che cancella le tracce ?
Chi è stato sbattuto a terra sei volte
come potrebbe risollevarsi la settima
per rivoltare il suolo pietroso,
per rischiare il volo nel cielo ?
La fragilità della memoria dà forza agli uomini.
Bertolt Brecht

ANCORA MIGRANTI: il movimento della Storia - Erri De Luca





Dal programma "Che tempo che fa" del 20 maggio 2009, Erri De Luca racconta la "loro" Storia che è la "nostra" Storia, quella di tutti: il racconto dell'umano.

La storia non si snoda
come una catena
di anelli ininterrotta.
In ogni caso
molti anelli non tengono.
La storia non contiene
il prima e il dopo,
nulla che in lei borbotti
a lento fuoco.
La storia non è prodotta
da chi la pensa e neppure
da chi l'ignora. La storia
non si fa strada, si ostina,
detesta il poco a poco, non procede
né recede, si sposta di binario
e la sua direzione
non è nell'orario.
La storia non giustifica
e non deplora,
la storia non è intrinseca
perché è fuori.
La storia non somministra carezze o colpi di frusta.
La storia non è magistra
di niente che ci riguardi. Accorgersene non serve
a farla più vera e più giusta.
La storia non è poi
la devastante ruspa che si dice.
Lascia sottopassaggi, cripte, buche
e nascondigli. C'è chi sopravvive.
La storia è anche benevola: distrugge
quanto più può: se esagerasse, certo
sarebbe meglio, ma la storia è a corto
di notizie, non compie tutte le sue vendette.
La storia gratta il fondo
come una rete a strascico
con qualche strappo e più di un pesce sfugge.
Qualche volta s'incontra l'ectoplasma
d'uno scampato e non sembra particolarmente felice.
Ignora di essere fuori, nessuno glie n'ha parlato.
Gli altri, nel sacco, si credono
più liberi di lui.


Eugenio Montale

L’OSPITE DI PAUL CELAN




Molto prima di sera
da te s’installa chi scambiò il saluto col buio.
Molto prima di giorno
costui si ridesta
e attizza, prima di partire, un sonno,
un sonno, risonante di passi:
tu l’odi misurare lontananze
e laggiú scagli la tua anima.

Traduzione di Giuseppe Bevilacqua

Paul Celan, Portami ancora per mano. Poesie per il padre , Crocetti Editore 2001