lunedì 30 novembre 2009

TUTTE LE STRADE SONO "LA STRADA"



Alcuni non possono fare a meno di sbagliare la strada, perché per essi non esiste una strada giusta (Thomas Mann)


Mi accorgo che tra i tanti effetti del tempo bisogna anche annoverarne uno che è una specie di satori per la coscienza: siamo, più o meno, quello che intendevamo essere. E nella tela del divenire che abbiamo abbozzato e che talvolta, altri per noi hanno disegnato e noi prontamente cancellato e pazientemente ritessuto, distinguiamo tuttavia il codice segreto del nostro essere, quella strana sintesi che ci fa dire: “sono io”. Noi siamo ciò che intendiamo essere. Non un nome e un cognome, non un titolo o un volto ma una dimensione dell’esistere. In qualche modo, compiamo noi stessi, mettiamo in opera le nostre cifre individuali. Per quanto tortuose e impervie le strade percorse, arriviamo pur sempre ad accomodarci nella dimensione che più ci assomiglia.

polange



ARABESCHI ITALIANI




"Appartengo alla minoranza silenziosa. Sono di quei pochi che non hanno più nulla da dire e aspettano. Che cosa? Che tutto si chiarisca? L'età mi ha portato la certezza che niente si può chiarire: in questo paese che amo non esiste semplicemente la verità. Paesi molto più piccoli e importanti del nostro hanno una loro verità, noi ne abbiamo infinite versioni. Le cause? Lascio agli storici, ai sociologi, agli psicanalisti, alle tavole rotonde il compito di indicarci le cause, io ne subisco gli effetti. E con me pochi altri: perché quasi tutti hanno una soluzione da proporci: la loro verità, cioè qualcosa che non contrasti i loro interessi. Alla tavola rotonda bisognerà anche invitare uno storico dell'arte per fargli dire quale influenza può avere avuto il barocco sulla nostra psicologia.
In Italia infatti la linea più breve tra due punti è l'arabesco. Viviamo in una rete d'arabeschi."


Ennio Flaiano

l'esercizio del silenzio

(foto di Andrè Kertesz, Martinique)

Mi innervosisco quando si parla troppo intorno e a sproposito; mi stupisco, ogni volta, tutte le volte, della assoluta mancanza di peso specifico nelle relazioni umane, superficiali e non, della perdita di spessore del quotidiano, trasformato in baratro del nonsenso, in tritatutto del conforme, nella reiterazione inutile della parola sgonfia e insieme assordante… perché non provare a cambiare terreno? Perché non spostare l’asse cartesiano? Perché non tentare il lodevole esercizio del tacere invece di ammorbare il prossimo di insulsaggini e piccinerie? Forse è colpa della mia incapacità a reggere la mediocrità di pensiero, intendo quello senza scarti, senza curiosità e avventure, senza pericoli e altezze , colpa della mia intolleranza un po' bambina a sopportare con la dovuta ubbidienza il guasto della coscienza narcotizzata nel vivere senza ritorno … e poi, che male c'è nel desiderare un po’ di grandezza e di bellezza nel nostro vivere, nel richiamare una nota epica in questo contesto che offre la contraffazione dell'esistere dove neanche la lacerazione dell'io duole ed ha un senso? Un po’ di silenzio. Ascoltiamo il profondo.
polange

domenica 29 novembre 2009

L'ABITUDINE DI AVERE DELLE ABITUDINI


Anni fa mi sono detta: "Non esiste la vecchiaia; c'è soltanto la tristezza".
Col passare del tempo ho imparato che, sebbene questo sia vero, non lo è del tutto. Anche l'abitudine contribuisce a far diventare vecchi; il processo mortale di fare la stessa cosa allo stesso modo alla stessa ora giorno dopo giorno, prima per trascuratezza, poi per inclinazione, e infine per codardia o inerzia. Fortunatamente, la vita incongruente non è l'unica alternativa; infatti il capriccio è dannoso come la routine. L'abitudine è necessaria; è l'abitudine di avere delle abitudini, di fare di una traccia un solco, che è necessario combattere, se si vuole rimanere vivi.

[Edith Wharton, Uno sguardo indietro, traduzione di Maria Buitoni Duca, Editori Riuniti]

venerdì 13 novembre 2009

I LOGOTETI


Nel suo saggio "La grana della voce" (1981) , Roland Barthes sosteneva che i grandi "mantenitori" della letteratura si allontanano, i grandi scrittori scompaiono con la resa delle case editrici ad un "pubblico fragile, infedele, minato dalla cultura di massa, che non è letteraria". Barthes è l'autore di un bel libro sui logoteti, i fondatori di uno stile, anche se lui stesso, non si riteneva uno di questi. Scrive:

" Tutto ciò che posso ricordare è che un logoteta (Sade, Fourier, Loyola) non è soltanto e non è neppure necessariamente uno scrittore che inventa delle parole, delle frasi proprie, in una parola uno stile; è qualcuno che sa vedere il mondo, nel suo mondo, degli elementi, dei tratti, delle "unità", come dicono i linguisti, che combina e organizza in maniera originale, come se si trattasse di una lingua nuova di cui producesse il primo testo."

Io mi chiedo allora, quanti ancora sono capaci di inventare un mondo nuovo attraverso una lingua mai parlata prima?

polange






La bellezza del mondo ha due tagli, uno di gioia, l'altro d'angoscia, e taglia in due il cuore.


Virginia Woolf, Una stanza tutta per sé

LA MORTE NON E' NIENTE


[Mark Rothko, Orange and Yellow, 1956]

Mi è capitato di leggere questo brano lo scorso anno. Mi veniva indicato come scritto anonimo, o forse, scritto da Sant'Agostino. Non mi sono accontentata e ho fatto delle ricerche.

Ho scoperto che in realtà, esso appartiene al reverendo inglese Henry Scott Holland (1847-1917), come John Donne, canonico della cattedrale di St. Paul a Londra e anche Regio Professore di teologia al'Università di Oxford.
Mary Gladstone, figlia del celebre primo ministro inglese, lo chiamava in maniera affettuosa: "l"olandese volante".

Il 10 maggio 1910, Scott Holland pronunciò un sermone in seguito alla morte del Re Edoardo VII , dal titolo "Il Re dei Terrori", sermone nel quale affronta il tema dell'insondabilità della morte e della equilibrata reazione alla perdita. Girano delle versioni strane in rete, ibridate con un passaggio di Sant'Agostino, tradotte senza seguire l'originale.

"Death is nothing at all": "La morte non è niente", è il titolo del brano che lo ha reso celebre e questa è la mia personale traduzione dall'originale:


La morte non è niente.
Non conta. Sono solo scivolato nella stanza accanto. Non è successo niente. Tutto rimane esattamente così com'era.
Io sono sempre io e tu sei sempre tu, e la vecchia vita che insieme , con passione, vivevamo è invariata, non è stata toccata.



Quello che eravamo prima l'uno per l'altro lo siamo ancora.
Chiamami con il nome che mi hai sempre dato, che ti è familiare;
parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato.
Non cambiare tono di voce, non assumere un'aria forzata di solennità o tristezza.

R
idi ancora di quello che ci faceva ridere,
di quelle piccole cose che ci piacevano
quando eravamo insieme.
Gioisci, sorridi, pensami, prega per me.
Fa che il mio nome sia sempre la parola familiare di prima:
pronuncialo senza sforzo , senza la più piccola traccia di ombra o di tristezza.
La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto:
è la stessa di prima.


C'è una assoluta e ininterrotta continuità.
Cos'è la morte se non un trascurabile incidente? Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente, solo perché sono fuori dalla tua vista?
Ti sto aspettando, per un breve intervallo, non molto lontano, proprio dietro l'angolo.

Va tutto bene. Niente fa male; niente è perduto. Un breve momento e tutto sarà com'era prima. Come rideremo del dolore della separazione quando ci incontreremo di nuovo!


Henry Scott Holland


Death is nothing at all. It does not count. I have only slipped away into the next room. Nothing has happened. Everything remains exactly as it was. I am I, and you are you, and the old life that we lived so fondly together is untouched, unchanged.

Whatever we were to each other, that we are still. Call me by the old familiar name. Speak of me in the easy way which you always used.

Put no difference into your tone. Wear no forced air of solemnity or sorrow. Laugh as we always laughed at the little jokes that we enjoyed together.

Play, smile, think of me, pray for me. Let my name be ever the household word that it always was. Let it be spoken without an effort, without the ghost of a shadow upon it.

Life means all that it ever meant. It is the same as it ever was. There is absolute and unbroken continuity. What is this death but a negligible accident? Why should I be out of mind because I am out of sight? I am but waiting for you, for an interval, somewhere very near, just round the corner.

All is well. Nothing is hurt; nothing is lost.

One brief moment and all will be as it was before.

How we shall laugh at the trouble of parting when we meet again!

Henry Scott Holland

lunedì 2 novembre 2009

QUANDO IL BAMBINO ERA BAMBINO

THE CHILDHOOD SONG

quando il bambino era bambino... se ne andava a braccia appese. voleva che il ruscello fosse un fiume, il fiume un torrente, e questa pozza il mare.
quando il bambino era bambino, non sapeva d'essere un bambino. per lui tutto aveva un'anima, e tutte le anime erano tutt'uno.

quando il bambino era bambino, su niente aveva un'opinione. non aveva abitudini. sedeva spesso a gambe incrociate, e di colpo sgusciava via. aveva un vortice tra i capelli, e non faceva facce da fotografo.

quando il bambino era bambino, era l'epoca di queste domande: perché io sono io, e perché non sei tu? perché sono qui, e perché non sono lí? quando é cominciato il tempo, e dove finisce lo spazio? la vita sotto il sole, é forse solo un sogno? non é solo l'apparenza di un mondo davanti a un mondo, quello che vedo, sento e odoro? c'é veramente il male? é gente veramente cattiva? come puó essere che io, che sono io, non c'ero prima di diventare? e che un giorno io, che sono io, non saró piú quello che sono?

quando il bambino era bambino, per nutrirsi gli bastavano pane e mela, ed é ancora cosí.

quando il bambino era bambino, le bacche gli cadevano in mano, come solo le bacche sanno cadere. ed é ancora cosí. le noci fresche gli raspavano la lingua, ed é ancora cosí. a ogni monte, sentiva nostalgia di una montagna ancora piú alta, e in ogni cittá, sentiva nostalgia di una cittá ancora piú grande. e questo, é ancora cosí. sulla cima di un albero, prendeva le ciliegie tutto euforico, com'é ancora oggi. aveva timore davanti ad ogni estraneo, e continua ad averne. aspettava la prima neve, e continua ad aspettarla.

quando il bambino era bambino, lanciava contro l'albero un bastone, come fosse una lancia. e ancora continua a vibrare.


Peter Handke

L'angelo Damiel, ne "Il cielo sopra Berlino", di Wim Wenders





la parola da dire

Anche quando sembra che la giornata

sia passata come un'ala di rondine,

come una manciata di polvere

gettata e che non è possibile

raccogliere e la descrizione

il racconto non trovano necessità

né ascolto, c'è sempre una parola

una paroletta da dire

magari per dire

che non c'è niente da dire.


Patrizia Cavalli

POETA

I poeti hanno l'anima lieve e le mani che disegnano nell'aria. I poeti trovano le parole per ogni cosa e per ogni sussulto dell'umano. Dove vanno i poeti quando ci lasciano?
polange



Le più belle poesie
si scrivono sopra le pietre
coi ginocchi piagati
e le menti aguzzate dal mistero.
Le più belle poesie si scrivono
davanti a un altare vuoto,
accerchiati da agenti
della divina follia.
Così, pazzo criminale qual sei
tu detti versi all'umanità,
i versi della riscossa
e le bibliche profezie
e sei fratello di Giona.
Ma nella Terra Promessa
dove germinano i pomi d'oro
e l'albero della conoscenza
Dio non è mai disceso né ti ha mai maledetto.
Ma tu sì, maledici
ora per ora il tuo canto
perché sei sceso nel limbo,
dove aspiri l'assenzio
di una sopravvivenza negata

[Alda Merini, Da La Terra Santa, 1984]