domenica 24 febbraio 2013

THE SHELTERING SKY



Ryuichi Sakamoto, The Sheltering Sky - Il té  nel deserto.

che ci sia luna
sul sentiero notturno
di chi porta i fiori


Takarai Kikaku

lunedì 18 febbraio 2013

IL SILENZIO


Jiddu Krishnamurti

Il silenzio 


Il silenzio ha molte qualità.
C'è il silenzio fra due rumori, il silenzio fra due note e il silenzio che si allarga nell'intervallo fra due pensieri. 
C'è il singolare, quieto, pervadente silenzio che si diffonde in campagna alla sera ; c’è il silenzio nel quale si ode il latrato di un cane in lontananza o il fischio di un treno che arranca per una ripida salita; il
silenzio che regna in una casa quando tutti sono andati a letto, e il suo particolare risalto quando ti svegli nel cuore della notte e ascolti un gufo gridare nella valle; e c’è il silenzio che precede le risposte della compagna del gufo. C’è il silenzio di una vecchia casa abbandonata, e il silenzio di una montagna; il silenzio fra due esseri umani quando hanno visto la stessa cosa, sentito la stessa cosa, e agito. 
Quella notte, specialmente in quella valle remota con le antichissime colline e i loro macigni di forma singolare, il silenzio era reale come la parete che toccavi. E tu guardavi dalla finestra le stelle luccicanti. Non era un silenzio autoprodottosi; non era perché la terra fosse quieta e gli abitanti del villaggio fossero addormentati, ma veniva da ogni dove, dalle stelle remote, da quelle colline scure e dalla tua mente,dal tuo cuore.
Questo silenzio sembrava coprire tutto, dal più piccolo granello di sabbia del greto del fiume - che conosceva acqua corrente solo quando pioveva – all’alto, frondoso fico di Banian e una leggera brezza che cominciava a spirare.
C'è il silenzio della mente che non è mai toccata da alcun rumore, da alcun pensiero o da l'effimero vento dell’esperienza. Questo è il silenzio innocente, e pertanto infinito. Quando c'è questo silenzio della mente, da esso scaturisce l'azione e questa azione non è causa di confusione o infelicità.
La meditazione di una mente che sia totalmente in silenzio è la benedizione che l’uomo sempre cerca. In questo silenzio ogni qualità del silenzio è.
C’è quello strano silenzio che regna in un tempio o in una chiesa vuota sperduta nella campagna, senza il rumore di turisti e fedeli; e il pesante silenzio che regna nell’acqua è parte di quello che è fuori del silenzio della mente.
La mente meditativa contiene tutte queste varietà, tutti questi cambiamenti e movimenti del silenzio. Questo silenzio della mente è la vera mente religiosa, e il silenzio degli dèi è il silenzio della terra. 
La mente meditativa scorre in questo silenzio, e l''amore è la via di questa mente. In questo silenzio c’è la beatitudine e il riso.

Jiddu Krishnamurti

IL RISVEGLIO DELL'INTELLIGENZA

La capacità di capire è intelligenza...dice il pensatore, e quando l'intelligenza diviene la nostra guida noi ci scopriamo liberi. E la paura non è più paura. 





Juddu Krishnamurti, non un guru non un leader spirituale ma un pensatore libero, un filosofo apolide, una voce intelligente che non indica, non chiede ma medita e lascia meditare. "Il risveglio dell'intelligenza" è una riflessione su ciò che si può diventare mutandosi in  se stessi. La vera rivoluzione dice, sulla scia del pensiero di Gandhi, comincia da se stessi.






« C'è una rivoluzione che dobbiamo fare se vogliamo sottrarci all'angoscia, ai conflitti e alle frustrazioni in cui siamo afferrati. Questa rivoluzione deve cominciare non con le teorie e le ideologie, ma con una radicale trasformazione della nostra mente. »
(J. Krishnamurti, Di fronte alla vita)

 Il fisico David Bohm, si avvicinò alla filosofia di Krishnamurti rinvenendovi dei dei punti di contatto con le sue innovative teorie fisiche. I dialoghi tra le due menti costruirono un raro, rarissimo "ponte" tra misticismo e scienza. Molti uomini di scienza ancora oggi trovano molto stimolanti i discorsi di Krishnamurti su questioni quali il tempo, la morte, il pensiero.


IL CUORE DELL'INSEGNAMENTO DI KRISHNAMURTI


Krishnamurti, su richiesta della sua biografa Mary Lutyens, riassunse così il proprio insegnamento:

"La verità è una terra senza sentieri". L'uomo non può raggiungerla attraverso nessuna organizzazione, credo, dogma, clero, o rituali, né attraverso lo studio filosofico, o le tecniche psicologiche. Deve trovarla attraverso lo specchio dei rapporti, attraverso il riconoscimento dei contenuti della propria mente e l'osservazione, e non mediante l'analisi intellettuale o la dissezione introspettiva. Gli uomini hanno costruito in se stessi le immagini della propria sicurezza, religiose, politiche e personali, che si esprimono come simboli idee e credenze. Il loro peso domina il pensiero, i rapporti, la vita quotidiana dell'uomo. Sono la causa dei nostri problemi, perché in qualunque rapporto dividono le persone. La nostra percezione è modellata dai concetti già formati nella mente. Il contenuto della nostra coscienza è la coscienza stessa, ed è comune a tutta l'umanità. La personalità consiste soltanto nel nome, nella forma e nella cultura ricavata dall'ambiente. La specificità dell'individuo non sta nei fattori superficiali, ma nella totale libertà dal contenuto della coscienza. La libertà non è una reazione, la libertà non è una scelta. E' una pretesa umana pensare che la possibilità di scelta sia libertà. La libertà è pura osservazione senza movente; la libertà non si situa alla fine dell'evoluzione umana, ma nel primo momento della sua esistenza. L'osservazione porta a scoprire la mancanza di libertà. La libertà risiede nella consapevolezza priva di scelta della vita quotidiana. Il pensiero è tempo. Il pensiero nasce dalle esperienze e dalle conoscenze, che sono inseparabili dal tempo. Il tempo è il nemico psicologico dell'uomo. Il nostro agire si basa sul conosciuto e quindi sul tempo, e così l'uomo è continuamente schiavo del passato. Diventando consapevoli del movimento della coscienza, possiamo osservare la divisione tra il pensatore e il pensiero, tra osservatore e osservato, tra il soggetto dell'esperienza e l'esperienza. Scopriremo che questa divisione è illusoria. Allora rimane la pura osservazione, che è intuizione senza residuo del passato. L'intuizione priva di tempo induce un profondo e radicale cambiamento nella mente. La negazione totale è l'essenza della positività. Dove c'è negazione di tutto ciò che non è amore (cioè desiderio e piacere), allora c'è amore, con la sua compassione e intelligenza.

Jiddu Krishnamurti (Londra, 21 ottobre 1980)Dal libro "Libertà Totale" Casa Editrice Astrolabio - Ubaldini Editore, Roma

domenica 17 febbraio 2013

PERCHE' SI SCRIVE




Antonio Tabucchi, scrittore italiano ma di adozione portoghese. La passione per gli scritti di Fernando Pessoa e dei suoi eteronimi lo portarono a studiare a Lisbona, fino a giungere poi alla cattedra di letteratura portoghese all'università di Siena. Non voleva che si dicesse di lui che era uno scrittore. No. Meglio professore di letteratura. La scrittura era altro per lui. Kafka scriveva : "Non sono altro che letteratura. Non voglio e non posso essere altro"; un tempo io stessa, di queste parole avevo fatto bandiera. La "chiamata" alla scrittura lascia sempre aperto uno spazio di indagine, non è atto meccanicistico, né improvvisazione, eppure non è nemmeno pura tecnica o virtuosismo. Flaubert riscriveva per giorni la stessa pagina senza giungere a piena soddisfazione. Si dannava come forse solo Michelangelo poteva fare davanti ad un blocco di pietra ancora da scolpire. Perchè si scrive? A ciascuno le sue risposte sempre plurali e mai definitive. Io, da tempo ho le mie, serbate in un cassetto.


ANTONIO TABUCCHI: Il padrone della tabaccheria,da Repubblica, 31 gennaio, 2007

Nella lezione inaugurale al Collège de France del 7 gennaio 1977, Roland Barthes afferma: «La letteratura lavora negli interstizi della scienza: è sempre in ritardo o in anticipo su di essa, simile alla pietra di Bologna che irradia durante la notte ciò che ha immagazzinato durante il giorno e grazie a questa luce indiretta illumina il giorno a venire. La scienza è rozza, la vita è sottile, ed è per correggere questa distanza che la letteratura ci importa». La vita è sottile, è vero, ma aggiungerei che è anche insufficiente: «La letteratura, come tutta l' arte, è la dimostrazione che la vita non basta» (Fernando Pessoa). La letteratura offre la possibilità di un di più rispetto a ciò che la natura ci concede. E in questo di più è inclusa l' alterità, il piccolo miracolo che ci è concesso nel viaggio della nostra breve esistenza: uscire da noi stessi e diventare "altri". Dell' eteronimia di Fernando Pessoa si è ormai impossessata quella cultura middlebrow promossa da certi media che prediligono lo scalpore e il sensazionale, trattandola alla stregua di un caso clinico, direi, di un «effetto speciale». E divulgando il poeta come un fenomeno da baraccone, una sorta di «deviante». Naturalmente la poetica di Pessoa, pur nella sua radicale impostazione, è intrinseca alla letteratura di sempre. Quale «commedia umana», in versione moderna e realizzata in poesia è la stessa di Shakespeare, Cervantes, Balzac. Cervantes disse di se stesso di essere simultaneamente Don Chisciotte e Sancho Panza. Sappiamo che Shakespeare non fu principe di nessuna Danimarca. Flaubert sosteneva che Madame Bovary era lui, ma niente ci impedisce di pensarlo come la vecchia domestica Félicité di un Cuore semplice. Baudelaire ha scritto: «Come delle anime erranti che cercano un corpo, egli può entrare, quando più lo vuole, in ogni personaggio». La letteratura non è stanziale, è nomade. Non solo perché ci fa viaggiare attraverso il mondo ma soprattutto perché ci fa attraversare l' animo umano. Inoltre è correttiva, perché è l' unica possibilità che ci è concessa di modificare gli avvenimenti e di correggere la Storia più matrigna. Perché è il territorio del possibile, della libertà assoluta. Rinchiuso nel forte di Taureau, presso Morlaix, Auguste Blanqui, dopo la disfatta della Comune, prende la sua rivincita sugli avvenimenti che lo hanno schiacciato. Partendo dalle teorie sull' universo di Laplace, e dunque con un rigore assolutamente scientifico, seppur applicandolo a una pura ipotesi, egli riprende l' idea dell' infinità dell' Universo, del Tempo e dello Spazio, iscrivendo la sua ipotesi in un' infinità di mondi possibili, con un' infinità di storie possibili, ciascuna in fondo uguale a se stessa ma con varianti di esiti diversi. Così, per esempio, in un luogo indeterminato del tempo e dello spazio, anywhere, gli stessi comunardi avranno vinto la battaglia e affermato i loro ideali, e lo stesso Blanqui, identico a se stesso ma in una delle sue possibili varianti, invece di provare la profonda amarezza della disfatta, vedrà il trionfo dei suoi ideali. L' Eternité par les astres, libro singolare e straordinario di un non-letterato, è in realtà grande letteratura e senza dubbio uno dei libri più rivoluzionari della fine dell' Ottocento. Senza il quale, aggiungo, un grande scrittore come Jorge Louis Borges forse non sarebbe mai esistito.  Perché si scrive? La domanda, inevitabile, ritorna sempre, anche se si cerca di evitarla, simile a certe pie signore dedite alla loro catechesi che tutte le domeniche implacabilmente vengono a suonare alla porta. Ma anche la risposta più radicale come quella di Beckett («perché non sono buono a nient' altro») è evidentemente insufficiente e ispirata da una modestia che con l' autoderisione non risolve il problema. Conosco decine di persone che non sono «buone a nient' altro» e che in vita loro non hanno mai scritto una riga. Del resto le risposte possibili sono tutte plausibili senza che nessuna davvero lo sia. Si scrive perché si ha paura della morte? E' possibile. O non si scrive piuttosto perché si ha paura di vivere? Anche questo è possibile. Si scrive perché si ha nostalgia dell' infanzia? Perché il tempo è passato troppo in fretta? Perché il tempo sta passando troppo in fretta e vorremmo fermarlo? Si scrive per rimpianto, perché avremmo voluto fare una certa cosa e non l' abbiamo fatta? Si scrive per rimorso, perché non avremmo dovuto fare quella certa cosa e invece l' abbiamo fatta? Si scrive perché si è qui ma si vorrebbe essere là? Si scrive perché si è andati là ma dopotutto era meglio se restavamo qui? Si scrive perché sarebbe davvero bello poter essere qui dove siamo arrivati e allo stesso tempo essere anche là dove ci trovavamo prima? Si scrive perché «la vita è un ospedale dove ogni malato vorrebbe cambiare letto. L' uno preferirebbe soffrire accanto alla stufa, e l' altro è convinto che guarirebbe vicino alla finestra» (Baudelaire)? O non si scriverà piuttosto per gioco? Ma non il puro gioco, come pretendeva l' avanguardia dell' avantieri in Italia e anche altrove, cioè la letteratura intesa come parole crociate che è tanto utile per ammazzare il tempo. Il gioco naturalmente c' entra, ma è un gioco che non ha niente a che vedere con gli scherzi in cui eccellono certi giocolieri, i prestidigitatori della domenica che sanno come dilettare lo spettabile pubblico. E' semmai un gioco che somiglia a quello dei bambini. Di una terribile serietà. Perché quando un bambino gioca mette tutto in gioco. Prende una pietruzza e seduto sul gradino di casa, mentre scende la sera, reggendo la pietruzza sul palmo della mano dice che quella pietruzza è il mondo. Sottolineo: non lo pensa soltanto, ma lo dice, perché è solo quando lo dice che il sortilegio si avvera e la pietruzza diventa il mondo: è il patto assoluto. Il bambino sa che se quella pietruzza cadesse il mondo precipiterebbe, l' universo in cui il mondo gira sarebbe perturbato, gli astri impazzirebbero e avanzerebbe il caos. Egli sa che finché durerà il suo gioco avrà nelle mani le sorti del mondo. Fino al momento in cui il padre appare nel riquadro della porta sorridendo, la cena è in tavola, si sta facendo freddo, domani è giorno di scuola, e ora bisogna rientrare. Il Padrone della Tabaccheria ha sorriso. Senza rendermene conto sono arrivato al punto culminante di una sublime poesia dell' eteronimo di Fernando Pessoa Alvaro de Campos, Tabaccheria, nella quale c' è un' analogia con la risibile e angosciosa dialettica baudelairiana fra la stufa e la finestra. Al posto della stufa c' è una sedia in fondo alla stanza dove ogni tanto il poeta va a sedersi per riflettere, assaporando certe intuizioni (le sue epifanie) che gli sono suscitate guardando dalla finestra della sua mansarda la bottega di tabacchi sull' altro lato della strada, dove la gente entra ed esce, e dove c' è vita, come nella vita. Ma ecco che: «Un uomo è entrato nella Tabaccheria (per comprare tabacco?), / E la realtà plausibile si abbatte all' improvviso su di me. / Mi raddrizzo energico, convinto, umano, / E mi riprometto di scrivere questi versi per sostenere il contrario. / Ma un uomo è uscito dalla Tabaccheria (infilandosi in tasca il resto?). / Ah, lo conosco: è l' Esteves senza metafisica. / (Il padrone della Tabaccheria si è fatto sulla soglia). / Come per un istinto divino Esteves si è girato e mi ha visto. / Mi ha fatto un cenno di saluto, io gli ho gridato «Ciao, Esteves!», e l' universo / Mi si è ricostruito senza ideale né speranza, e il padrone della Tabaccheria ha sorriso». Ma chi è il Padrone della Tabaccheria? Questo è il problema. E poi perché sorride, forse in maniera ironica o addirittura con bonaria sufficienza, quasi a indicare al poeta che è vano fare domande alla vita e al mondo, è vano chiedere alla sua Tabaccheria di rivelarci il mistero del tutto? In quel sorriso c' è qualcosa di leonardesco, mi spingerei a dire, come se si trattasse dell' imperscrutabilità delle cose, del limite della conoscenza umana che il genio di Leonardo ha raffigurato in forma di sorriso sulle labbra della Gioconda e di San Giovanni, un qualcosa che Ortega y Gasset definì «ineffabile». Ti è stato concesso il privilegio di conoscere fino a un certo punto, non puoi andare oltre, sembra dire quel sorriso. Come il padrone della Tabaccheria, il padrone del Circo, salutando il pubblico, sorride. Lo spettacolo è finito. La letteratura si ferma qui, comincia il mistero della vita. E la letteratura si rimette subito al lavoro.

























SI STA FACENDO SEMPRE PIU' TARDI




Couple, Kuligowski, 1978

E’ stato come se sotto i piedi mi si fosse aperta una voragine fatta di tempo 
e io vi sono sprofondato dentro e ti ho raggiunta, 
perché non ci si può opporre alla fotografia di un giornale spiegazzato 
macchiato d’insalata, ho dato una spolveratina al velo di terriccio 
che ricopriva i tuoi occhi e lì, dove tu sei, sono tornato anche io.


Si sta facendo sempre più tardi , A. Tabucchi



Anche i libri ritornano e diventano altro nella nostra cartografia interiore. Tracciano segmenti che soltanto la riflessione a posteriori può collegare, come se non possa esistere presente che non richiami il passato, che ad esso si intrecci in cifre misteriose che col tempo e la pazienza rifulgono di nuovi bagliori. Niente è novità, ogni cosa è disvelamento. 

Dopo aver pubblicato il romanzo in forma di lettere, Si sta facendo sempre più tardi, Tabucchi ritorna sulla misteriosa foto di copertina del fotografo Kuligowski comprata a Parigi da un bouquiniste. Tabucchi scrive la storia del ritratto in un brano di  "Autobiografie altrui". Metaracconto a partire da quell'immagine avvolgente che esonda di significati, emozioni e remote evocazioni.    



tratto da "Autobiografie altrui", 
di Antonio Tabucchi

Quella foto misteriosa che valeva un libro intero  




Era sicuramente metà settembre. L'anno non lo ricordo con certezza: la fine degli anni Ottanta, comunque, probabilmente l'ottantanove. Quel pomeriggio di settembre uscivo da una piccola galleria nei pressi di Rue Jacob, a Parigi, dopo aver visitato una mostra di fotografie di Robert Doisneau. Doisneau è un fotografo che i critici severi hanno sempre giudicato con una certa sufficienza. E' considerato "amabile", se non "pittoresco": ha colto col suo obiettivo quella Parigi forse stereotipata dove si vedono vecchietti col basco e la baguette sotto il braccio, monelli irridenti, robuste e burbere portiere con i pugni sui fianchi, pittori della domenica, innamorati che si baciano lungo la Senna. Una Parigi che assomiglia a quella di Jacques Prévert e di Edith Piaf e dove, seppure con un tocco di malinconia, la vita è comunque "en rose". Probabilmente non sono troppo esigente: a me Robert Doisneau è sempre piaciuto. O meglio, non di rado mi ha dato emozioni, così come ti può toccare una canzonetta o un'aria di fisarmonica, quella musica, come direbbe Drummond de Andrade, che in certe giornate è più adatta al nostro umore di una sinfonia.





Ma quel giorno, più che per la mia simpatia per Doisneau, ero entrato nella piccola galleria perché su un noto settimanale era apparsa "l'accusa" di un critico autorizzato il quale, scandalizzando la Francia e tutti gli ammiratori di Doisneau, affermava che molte istantanee del celebre fotografo, e in particolare quelle degli innamorati felici che si baciano per strada, non erano affatto spontanee, ma una messinscena. In sostanza: Doisneau avrebbe pagato coppie di giovani innamorati affinché si baciassero "spontaneamente" per il suo obiettivo nei boulevards parigini. Uscendo dalla galleria la mia riflessione circolava intorno al seguente quesito: cos'è "naturale" e cos'è "artificiale"? In altri termini: qual è il confine fra realtà e finzione? Sulla copertina del catalogo che avevo sotto il braccio c'era proprio l'immagine che il critico-detective indicava come "truccata", la foto ormai celebre di una coppia di innamorati che si scambiano un bacio al volo. Sono giovani, carini, entusiasti della vita: lei ha una gonna plissettata da anni sessanta che l'obiettivo ha fissato in un'immobile giravolta; lui ha un ciuffo sulla fronte e un impermeabile svolazzante. Sullo sfondo ci sono i fiori di un fiorista, palazzi, passanti sui marciapiedi di una grande città: Parigi.


Mi chiedevo: anche ammettendo che il fotografo avesse assoldato questi due innamorati affinché si baciassero, forse che il loro bacio non era spontaneo? Quel bacio in più che il ragazzo e la ragazza si scambiavano a pagamento era forse meno vero di tutti i veri baci che abitualmente si scambiavano per le vie di Parigi? Così riflettendo percorsi Rue des Saints-Pères e arrivai alla Senna. Era una bella giornata, e le bancarelle dei bouquinistes erano aperte. Mi soffermai davanti a una che oltre a libri usati vendeva soprattutto vecchie riviste, menù di ristoranti ormai scomparsi, vecchie stampe, e vidi un'immagine che mi colpì. Era una fotografia formato cartolina e raffigurava un uomo che abbraccia una donna. La donna è ritratta di spalle e indossa un vestito nero scollato a v. Ha in testa una cappello bianco che è contemporaneamente la sua testa e la testa dell'uomo che l'abbraccia, perché esso nasconde i volti. Lui si afferra a lei con un abbraccio spasmodico, come un naufrago attaccato a una roccia, si direbbe.


Il corpo della donna non manifesta alcuna visibile emozione, lei fa solo un piccolo gesto con la mano destra, ma non si capisce bene se è un gesto di protezione e tenerezza per l'uomo che l'abbraccia, oppure se sta semplicemente reggendo la falda del cappello che il vento potrebbe far volare via. Intorno a quei corpi fusi in un abbraccio, il grigio del cielo (era una foto in bianco e nero) e un orizzonte vuoto. Quello che mi colpì non fu solo la forza dell'immagine, cioè un momento di vita rapito da un'istantanea, ma anche il "mistero" di quell'abbraccio. Di cosa si trattava? Qual era il segreto di quell'abbraccio così drammatico? La foto costava pochi franchi. La comprai. Sul retro era indicato il nome del fotografo, o meglio, un cognome senza il nome dei battesimo (Kuligowski), il luogo dove era stata ripresa l'immagine (Château-Landon), la data (1978), e il titolo: Couple. E poi, accanto al simbolo del copyright, il nome duna piccola casa editrice (o stamperia) che con tutta probabilità era specializzata in cartoline, calendari e altre piccole pubblicazioni di questo tipo.


Quell'immagine, che misi nella mia agenda, mi ha accompagnato per molti anni, seguendomi anche in lontani viaggi. E durante tutti questi anni non ho mancato di porre il quesito che quell'immagine contiene a chi mi era vicino: mia moglie, i miei figli, amici di vari paesi. Di cosa si tratta, secondo te? Di un addio? Di un ritorno? E chi è ritornato, o chi sta partendo, lui o lei? Oppure: e se invece questo disperato abbraccio nascondesse una sciagura? Se, supponiamo, si trattasse di un padre e di una madre (dai corpi si capisce che sono persone mature) e lui avesse saputo di una disgrazia che li riguarda; sua moglie è a una festa, ignara, sta bevendo un cocktail in un giardino, chiacchiera con gli altri invitati, e all'improvviso lui arriva, l'abbraccia, il loro figlio è morto in un incidente, lui lo sa, ma come si fa a dire a una donna che sta bevendo un cocktail in un giardino che suo figlio è appena morto? Nel febbraio del 2001 l'editore Feltrinelli mi chiese se avevo suggerimenti per la copertina di Si sta facendo sempre più tardi che stava per uscire. Senza sapere bene perché pensai che la fotografia che avevo portato con me per tanto tempo avesse qualcosa a che vedere col libro che avevo scritto.


L'editore riuscì a rintracciare la casa editrice che possedeva i diritti, e l'immagine poté essere utilizzata per la copertina. Io, invece, in tutti quegli anni, avevo tentato di reperire notizie sul fotografo, ma senza esito: risultava sconosciuto anche nelle migliori librerie specializzate. Forse si trattava semplicemente di una bella e casuale immagine che era stata scelta per una cartolina. Il libro uscì in francese l'anno seguente (gennaio 2002) presso il mio editore di sempre (Christian Bourgois), con la stessa copertina. A metà gennaio Christian mi propose di fare una seduta di firme in una libreria vicino alla Sorbona. Era un pomeriggio piovoso e nella libreria c'era un certo numero di persone che avevano acquistato il libro e che mi aspettavano affinché lo firmassi. Seduto a un tavolino cominciai ad assolvere il mio compito, che durò un certo tempo. Quando tutti erano partiti si presentò un signore non più giovane, alto, dall'aspetto elegante. Gli chiesi a chi dovevo dedicare il libro. "Kuligowski" rispose. "Come il fotografo?, chiesi con una certa sorpresa. "Come il fotografo", confermò il signore. A quel punto la mia curiosità ebbe il sopravvento. "Scusi", chiesi, "ma lei è parente del fotografo?". "Io sono il fotografo", rispose lui con aria imperturbabile. Mi alzai, ci scambiammo una stretta di mano, chiamai Maria José e Dominique e Christian Bourgois: "Venite, ho trovato il fotografo, c'è qui il signor Kuligowski!".


Facemmo un brindisi, seguirono complimenti, domande d'obbligo: perché non si era mai fatto vivo, se aveva ricevuto il compenso dovuto, cose così. Tutto a posto, confermò il signor Kuligowski. E poi disse che gli sarebbe piaciuto farmi un ritratto, e farlo anche al mio editore: io e Christian che gli lasciamo telefono e indirizzo, grazie, per noi sarebbe un onore, e il signor Kuligowski che fa per accomiatarsi con gentilezza, scusatemi, ma ora devo andare, è stato un vero piacere. Eh no, signor Kuligowski, gli dico accompagnandolo verso l'uscita, scusi, ma non può andarsene così, la sua fotografia mi ha sollevato talmente tante ipotesi in questi anni, è davvero misteriosa, ma di cosa si tratta? quel disperato abbraccio, o almeno a me sembra disperato, cos'è? E il signor Kuligowski, con la sua aria imperturbabile, ormai sulla porta: "Un remariage, c'était un remariage". Probabilmente legge sul mio viso la sorpresa e allora precisa: negli anni settanta, lui di professione faceva il fotografo di matrimoni, battesimi e cerimonie del genere, quei due erano una coppia che aveva divorziato anni addietro e poi, passato il tempo, avevano deciso di risposarsi. "Succede, sa?".







NOI NON SIAMO DEI





Odore dell'India. Ancora. Tibet e Taj Ma hall. Quando un sogno come d'incanto si mette alla rincorsa, bisogna restare fermi ad attenderlo affinché possa raggiungerci. Voltarsi indietro per portarsi avanti. E' l'India che va e viene dalla mia storia come un leit-motif senza tempo...ricordo e promessa, come la luna indiana di un lontano 1979, brano strumentale di Battiato, o l'odore dell'India di Pasolini, Moravia ed Elsa Morante. O ancora incontri di donne d'India, scritture d'oriente, tracciati costellati di racconti di Sheerazade e ritratti di figure femminili in cammino nel verde, in cerca d'acqua. Poi  la luna indiana del 1985, Alice e il testo quasi un recitativo per ciò che solo era musica: luce della luna il tempo passa e noi non siamo dei. India non è solo una geografia ma qualcosa di più. Un segreto dell'anima, un fil rouge della memoria.


Quel tè preso in Rajastan. Sai mi emoziona e poi penso al Taj Ma hall. 


Preghiere, echi senza fine, profumi cerco tra i giardini che cosa pensano gli dei  


di noi.  


Fiabe eroi di più leggende amori e storie di re con regine quasi sante.




E poi sola.  Profumi di uno stagno lunghe sere per scoprire luce della luna 

che il tempo  passa e noi non  siamo dei. 


Luce della luna il tempo passa e noi non siamo dei.



Alice su musica di F. Battiato





sabato 16 febbraio 2013

HAIKU 2





Seduto sotto un albero a meditare

mi vedevo immobile danzare con il tempo come un filo d'erba

  che si inchina alla brezza di maggio o alle sue intemperie. 

Alla rugiada che si posa sui fiori quando s'annuncia l'autunno  

assomiglio  io che devo svanire

  e vorrei sospendermi nel nulla

  ridurmi

  e diventare nulla. 



Franco Battiato, Haiku

giovedì 7 febbraio 2013

al cuore fa bene far le scale

Divertissement della poetessa Patrizia Cavalli...autoironia e giocosità nel testo e nel canto...in fondo, nella lirica italiana amore fa sempre rima con cuore. Sembra banale, ma in questo caso non lo è...




 Che stupidi che siamo... Quanti inviti respinti, quanti... quante frasi non dette, quanti sguardi non ricambiati... Molte volte la vita ci passa accanto e noi non ce ne accorgiamo nemmeno...
da PensieriParole <http://www.pensieriparole.it/film/l/le-fate-ignoranti-(2001)/citazione-9448>





lunedì 4 febbraio 2013

VEDESSI COM'E' GRANDE IL PENSIERO DEL MARE






Vedessi com’è grande il pensiero del mare
dove il mio dolce amore oggi è andato a pescare
vedessi com’è grande la vela del pensiero
eppure sono sola come un vecchio mistero
vedessi che coralli ci sono in fondo al mare
e lui non mi ha pescato perché doveva andare
vedessi come piango un pianto universale
un amore così bello non doveva far male.

Alda Merini 

domenica 3 febbraio 2013

Per il silenzio


Eppure, alla domanda: “Per chi scrive ?”
aveva spontaneamente risposto:
“Per nessuno; per il silenzio
forse
che è sempre attesa di qualcuno.”
Edmond Jabés 

SONO CENT'ANNI







Sono cent'anni che non ho visto il suo viso
che non ho passato il braccio
attorno alla sua vita
che non mi son fermato nei suoi occhi
che non ho interrogato
la chiarità del suo pensiero
che non ho toccato
il calore del suo ventre

eravamo sullo stesso ramo insieme
eravamo sullo stesso ramo
caduti dallo stesso ramo ci siamo separati
e tra noi il tempo è di cent'anni
di cent'anni la strada
e da cent'anni nella penombra
corro dietro a te.


- Nazim Hikmet

CROOKED HEARTS


«Gli amanti che passano la vita insieme non sanno dire che cosa vogliono l' uno dall'altro. Non si può certo credere che solo per il commercio dei piaceri carnali essi provano una passione così ardente a essere insieme. E' allora evidente che l' anima di ciascuno vuole altra cosa che non è capace di dire, e perciò la esprime con vaghi presagi, come divinando da un fondo enigmatico e buio»

Platone, Simposio





Di cosa parliamo quando parliamo d'amore? Cos'è? E' dunque filosofia, poesia, biologia? W.H. Auden ha scritto un'ironica e ben nota poesia, R.M. Rilke, che  detestava i versi d'amore, ha scritto i più belli per Lou Andreas-Salomè. Platone sosteneva che  l’amore è follìa, come la profezia, l’iniziazione e la poesia.  Con Platone, Eros è figlio  di Pòros e Penìa, cioè di un dio e di una mortale mendicante. Esso è il prodotto di   una divinità e di Povertà.  Si  configura sempre come una richiesta, un desiderio e una privazione. 
Platone ne parla come desiderio di qualcosa che non si possiede e di cui si va quindi in cerca: così è la filosofia.  L’amore è lungo quanto il desiderio, è assenza, lacerazione, sguardo sul taglio e cura, ricerca del compimento di sé e costruzione di sé. Scalzo e senza tetto, manca di tutto e tutto cerca. E' etimologicamente "a-mors", privazione della morte, travalicamento della morte e  condizione indispensabile per l’attivazione della mente, strada maestra alla conoscenza; si dice infatti, che non "intratur in veritatem nisi per caritatem”, non si accede alla verità, se non attraverso un contesto d'amore. Per Freud, l’amore è una follìa di breve durata, ma cambia il mondo. In questo senso, amare una persona è generativo di un’altra persona, di un altro io. Quando finisce una storia d’amore, collassa l'io e si ridefinisce il suo perimetro. Si diventa  persone diverse da ciò che si era in principio.

Da questo "fondo enigmatico e buio"  mi permetto di estrarre i pensieri più folgoranti, ben conscia che forse, la sola verità possibile da sommare alla divinazione platonica è quella di W.H. Auden: 

You shall love your crooked neighbour / with your crooked heart. 
Tu amerai il prossimo tuo storto, con il tuo storto cuore. 

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Spegnimi gli occhi: io ti vedrò lo stesso,

sigilla le mie orecchie: io potrò udirti,

e senza piedi ti cammino ancora a fianco.

E senza bocca posso ancora chiamarti.

Spezza le mie braccia e io ti abbraccerò

Col mio cuore che si è fatto mano,

arresta i battiti del mio cuore, sarà il cervello

a pulsare e se lo getti alle fiamme

io ti porterò nel flusso del mio sangue.


(1897) Rainer Maria Rilke




W.H. Auden: "La verità, vi prego, sull'amore..."
Ditemi la verità, vi prego, sull’amore
Alcuni dicono che l’amore è un bambino
e alcuni che è un uccello
alcuni dicono che fa girare il mondo
e altri che è solo un’assurdità,
e quando ho chiesto cosa fosse al mio vicino
sua moglie si è seccata e ha detto
che non era il caso di fare queste domande.
Può assomigliare a un pigiama
o a del salame piccante dove non c’è da bere?
Per l’odore può ricordare un lama
o avrà un profumo consolante?
È pungente a toccarlo, come un pruno,
o lieve come morbido piumino?
È tagliente o ha gli orli lisci e soffici?
Ditemi la verità, vi prego, sull’amore.

I libri di storia ne parlano
solo in piccole note a fondo pagina,
ma è un argomento molto comune
a bordo delle navi da crociera;
ho trovato che vi si accenna nelle
cronache dei suicidi,
e l’ho visto persino scribacchiato
sulle copertine degli orari ferroviari.

Ha il latrato di un cane affamato
o fa il fracasso di una banda militare?
Si può farne una buona imitazione
con una sega o con un pianoforte Steinway da concerto?
Quando canta alle feste, è un finimondo?
O apprezzerà soltanto musica classica?
La smetterà quando si vuole un po’ di pace?
Ditemi la verità, vi prego, sull’amore.

L’ho cercato nei chioschi del giardino
ma lì non c’era mai stato:
ho anche esplorato le rive del Tamigi
e l’aria balsamica delle terme.
Non so cosa cantasse il merlo
o che cosa dicesse il tulipano,
ma certo non era nel pollaio
e nemmeno sotto il letto.

Sa fare delle smorfie straordinarie?
Sull’altalena soffre di vertigini?
Passerà tutto il suo tempo alle corse,
o strimpellando corde sbrindellate?
Avrà idee personali sul denaro?
È un buon cittadino o mica tanto?
Ne racconta di allegre, anche se un po’ audaci?
Ditemi la verità, vi prego, sull’amore.

Quando viene, verrà senza avvisare,
proprio mentre mi sto grattando il naso?
Busserà la mattina alla mia porta,
o là sull’autobus mi pesterà un piede?
Arriverà come il cambiamento improvviso del tempo?
Sarà cortese o spiccio il suo saluto?
Darà una svolta a tutta la mia vita?
Ditemi la verità, vi prego, sull’amore.





PERFECT





Cercami nelle parole

che non ho trovato



Blaga Dimitrova





PERFECT , Doria Roberts, Live Performance




DESIDERIO

Mi avvolgano ali, senza racchiudermi.
Il mio spirito aperto, non in me ripiegata.
Non dietro a una spalla, al sicuro protetta,
ma fianco a fianco contro il vento in bufera.


Blaga Dimitrova

DEATH, THOU SHALT DIE



John Donne, secolo XVI, aveva vissuto praticamente tutto quel che c'è da vivere. E molto aveva imparato. Da libertino sfrenato e poeta di liriche amorose barocche a devoto dell'amore totale che lo condusse alla rovina sociale ed economica. Sposò in segreto Ann More, la nipote del barone Thomas Egerton di cui Donne era segretario e questo gli costò posto di lavoro e reputazione. Da quel giorno, visse felice e in povertà. Alla morte della moglie nel 1617, affranto dal dolore, prese i voti nella chiesa anglicana e divenne Diacono della Cattedrale di St. Paul a Londra. I suoi sermoni incantavano i londinesi, i suoi Sonetti Sacri furono pubblicati postumi, nel 1633. 
Quella di Donne fu chiamata poesia metafisica, una mescolanza di passioni e intelletto dove il linguaggio ricco e figurato esprime emozioni, secondo la definizione di T.S. Eliot, attraverso l'uso del "correlativo oggettivo".  

Il sonetto N. 6 di John Donne "Death be not proud"

Morte, non esser fiera, pur se taluni
T’abbiano chiamata terribile e possente,
Perché tu non lo sei                               
ché quei che tu credi di travolgere, non muoiono,
povera morte, né tu puoi uccidermi,
Tu schiava del fato, del caso, di Re e di disperati
Tu che ti nutri di guerre, veleni e malattie
Oppio e incantesimi ci sanno addormentare ugualmente e meglio di ogni tuo fendente
Perché dunque insuperbisci?
Trascorso un breve sonno, veglieremo in eterno
 e morte più non sarà, morte tu morrai