martedì 18 maggio 2010

Un pezzo di poesia viva che se ne va...




Un saluto a Edoardo Sanguineti, poeta dell'avanguardia e del canto anarchico disancorato dalla sterilità del consolidato...a questo viaggiatore temerario del mare aperto auguriamo un buon tragitto nell'al di là...



"... se oggi dovessi dire, in breve, quale sia la pulsione profonda da cui è nata tutta la moderna poesia, direi che tale pulsione è quella dell'anarchia. E' questo impulso che mi ha fatto scrivere, una volta, a conclusione di una poesia del 1976, come proposta di autoepitaffio: "Non ho creduto in niente". E il problema di un poeta, oggi, rimane sempre per me, come per i suoi lettori del resto, quello di trasformare l'impulso alla rivolta in una proposta di rivoluzione, e fare della propria miscredenza un progetto praticabile". Edoardo Sanguineti





Tra le molte poesie che amo di questo poeta dell'avventura e della sperimentazione ce n'è una, piuttosto nota, che ne denota la straodinaria sensibilità, lo spirito visionario e la capacità di essere sempre "uber",in avanti, in una prospettiva che si inchina con passione alle poche, ahimè, neglette verità del creato.



La ballata delle donne di Edoardo Sanguineti

Quando ci penso, che il tempo è passato,
le vecchie madri che ci hanno portato,
poi le ragazze, che furono amore,
e poi le mogli e le figlie e le nuore,
femmina penso, se penso una gioia:
pensarci il maschio, ci penso la noia.

Quando ci penso, che il tempo è venuto,
la partigiana che qui ha combattuto,
quella colpita, ferita una volta,
e quella morta, che abbiamo sepolta,
femmina penso, se penso la pace:
pensarci il maschio, pensare non piace.

Quando ci penso, che il tempo ritorna,
che arriva il giorno che il giorno raggiorna,
penso che è culla una pancia di donna,
e casa è pancia che tiene una gonna,
e pancia è cassa, che viene al finire,
che arriva il giorno che si va a dormire.

Perché la donna non è cielo, è terra
carne di terra che non vuole guerra:
è questa terra, che io fui seminato,
vita ho vissuto che dentro ho piantato,
qui cerco il caldo che il cuore ci sente,
la lunga notte che divento niente.

Femmina penso, se penso l’umano
la mia compagna, ti prendo per mano.

da “Il gatto lupesco (poesie 1982-2001)”

giovedì 6 maggio 2010

PICCOLE TAUTOLOGIE


perchè oggi è oggi...because today is today. Piccole tautologie alla Gertrude Stein, gatti che si mordono la coda, serpenti che camminano in circolo, ritorni e partenze, il motto ben noto di Maria Stuarda "in the end is my beginning"...oh, "fear no more the heat of the sun" , non temere i raggi del sole declama l'attore shakespeariano in ogni angolo del mondo. Noi, stamattina, leggiamo W.B. Yeats, because today is today...

Feci al mio canto un mantello
Coperto coi ricami delle antiche
Mitologie, dai piedi fino al collo;
Ma gli sciocchi
Lo presero per loro, lo indossarono
Davanti agli occhi del mondo
Quasi che loro l'avessero cucito.

Canzone, lascia pure
Che se lo tengano, perché
Ci vuole più coraggio a camminare nudi.


I MADE my song a coat
Covered with embroideries
Out of old mythologies
From heel to throat;
But the fools caught it,
Wore it in the world’s eyes
As though they’d wrought it.
Song, let them take it
For there’s more enterprise
In walking naked.

William Butler Yeats, 1914

lunedì 3 maggio 2010

LE NOSTRE ISOLE





Tanto tempo fa ormai. Niente più che un’uscita dall’isola del Mito e un ingresso nell’isola della Storia.
A volte, è bello ricordare il Mito e continuare a camminare dentro la Storia.
Ci sono fili che non si spezzano mai. Nessun abbandono è mai definitivo.


Quella, che tu credevi un piccolo punto della terra,
fu tutto.
E non sarà mai rubato quest'unico tesoro
ai tuoi gelosi occhi dormienti.
Il tuo primo amore non sarà mai violato.

Virginea s' è rinchiusa nella notte
come una zingarella nel suo scialle nero.

Stella sospesa nel cielo boreale
eterna: non la tocca nessuna insidia.

Giovinetti amici, più belli d'Alessandro e d'Eurialo,
per sempre belli, difendono il sonno del mio ragazzo.
L'insegna paurosa non varcherà mai la soglia
di quella isoletta celeste.

E tu non saprai la legge
ch'io, come tanti, imparo,
- e a me ha spezzato il cuore:

fuori del limbo non v' è eliso.

E. MORANTE, L 'Isola di Arturo, Dedica, 1957

GERMINAZIONI CREATIVE


Alberto Savinio è una delle menti più curiose ed eccentriche che abbiano riempito la mia adolescenza, quando ci si ammala si ritorna un po’ alle radici, si cerca un approdo solido, compatto, ed eccomi tornata a sfogliare i suoi scritti dispersi tra guerra e dopoguerra nell’edizione introdotta da Leonardo Sciascia. Un classico Bompiani comperato da una bancarella di Via Po a Torino quando a vent’anni, il primo stipendio da supplente sembrava permettermi il lusso di questo ambito acquisto. Nel suo articolo “letture da infermi” appunto, egli obietta al riposo del corpo e della mente prescritto dal medico: “quale miglior riposo della mente del fermare il nostro pensiero, e blandamente seguire sulla pagina scritta il pensiero altrui?” E quindi descrive con arguzia i libri che ha letto e di quelli che ha riletto : una biografia di Bach di Alfredo Casella, Sull’intensità degli stati psicologici di Bergson, le Passeggiate italiane, Roma e dintorni di Ferdinando Gregorovius.
“Quando l’organismo funziona bene, in altre parole quando non lo sentiamo funzionare, sentimenti e pensieri sgorgano, e nulla ci segnala “come” sgorgano. Ma quando l’organismo non funziona bene (e questo era il caso mio) petto, spalle, braccia, collo, tempie segnalano dolorosamente lo sgorgare di sentimenti e pensieri; e l’intensificarsi di un sentimento, l’approfondirsi di un pensiero. Che misurazione precisa! J’ai mal à l’ame si diceva una volta. Ma qui si tratta di ben altra cosa.”

Ho letto Savinio e riletto Vite di Corsa di Zygmunt Baumann, I Funamboli di Giorgio Melchiori con l’analisi del celebre passo joyciano sull’incubo della storia.: Stephen Dedalus nel secondo capitolo dell’Ulysses ha il compito di tenere una lezione di storia su Racconti sulla Grecia e su Roma di Peter Parley :

“Lei, Cochrane, che città lo mandò a chiamare?”
“Taranto, professore”.
“Benissimo, e allora?”
“C’è stata una battaglia professore”
“Benissimo, dove?”
La faccia vuota del ragazzo interrogò la finestra vuota.

Il senso della Storia di Joyce esule nel cuore dell’Europa, non più cronaca ma distruzione delle dimensioni storiche, del tempo e dello spazio, emerge dal monologo di Stephen ma anche dall’argomento stesso della sua lezione di storia, cioè Pirro con la sua ben nota affermazione “un’altra vittoria come questa e siamo spacciati”.

Altra lettura per me: il libro degli esseri immaginari di Borges, libro non scritto per una lettura consecutiva, quindi adatto ad una fastidiosa malattia. “Vorremmo che i curiosi lo frequentassero, come chi gioca con le forme mutevoli rivelate da un caleidoscopio” scrive l’autore nella prefazione. Ho riletto di Abtu e Anet , i due pesci identici e sacri della mitologia egizia che nuotano davanti alla nave di Ra, dio del sole, per prevenirlo contro qualsiasi pericolo. Di giorno la nave viaggia nei cieli, da oriente ad occidente; di notte, sotto terra, in direzione inversa. Chissà se ognuno di noi è preceduto da questa coppia divina e tutelare. Io ne ho due di sicuro.

E Savinio infine, mente duttile e profonda, erudito del sentire e del pensare come facoltà “nobili” , a suo avviso “del tutto separate dall’organismo”. Finisce così il suo articolo scritto sul Corriere dell’informazione il 27-28 novembre del 1950

“Altra lettura: Germania di Enrico Heine. Più di quarant’anni che non riprendevo in mano questo libretto. Alle prime parole la musica echeggiò, il mare brillò. La riprova che in un autore c’è germinazione creativa è che la sua germinazione creativa, si trasfonde in noi.

Dimenticai la malattia, uscii dal letto.”

Non sono del tutto guarita, ma la germinazione creativa delle mie letture caleidoscopiche in qualche modo ha operato in positivo.



polange

I MODELLI , LA RIVOLTA E L’ABBANDONO





Pensavo: tra la libertà e la costrizione vi è un passaggio stretto che porta alla rivolta lucida e definitiva come quella di uno strappo dovuto a chi ci ha segnato, guidato e offerto dei modelli. La condizione dell’essere che si affranca dai modelli per divenire se stesso è al tempo stesso una libertà e un abbandono.
L’essere che resta dentro i gangli dell’autorità e dei modelli, mentali, culturali, filosofici e politici è destinato alla necrosi, all’immobilismo che non disegna forme di vitalità scorrevoli né inventa mondi e possibilità di esistenze. Nel pubblico e nel privato, scegliersi ha sempre un prezzo, è una libertà che libera e che imprigiona nelle maglie di un “io” che si offre alla navigazione a mare aperto, alla solitudine e all’abbandono, alla ricerca di nuove isole, di altre esperienze fuori dall’egida asfittica del totalitarismo ammorbante dei modelli.

Nelle Mosche di Sartre il dialogo tra Oreste e Giove è quello di un essere che vuole essere se stesso e un Dio che intrappola e non comprende come mai si possa non ubbidire alle sue leggi, alla sua persona. Oreste non cede se stesso e la sua libertà in cambio di un po’ di sicurezza. Ne avrà guadagnato la vita.

Oreste: Straniero a me stesso, lo so. Fuori della natura, contro la natura. Senza scusa, senza’altro senza rifugio che in me. Ma non ritornerò sotto la tua legge: io sono condannato a non avere altra legge che la mia. Non ritornerò alla tua natura: mille strade conducono a te, ma io non posso seguire che la mia. Perché sono un uomo, Giove, e ogni uomo deve inventare la propria strada. La natura ha orrore dell’uomo, e anche tu, tu, sovrano degli dei, hai orrore degli uomini.

Giove: E’ vero. Quando gli uomini sono simili a te, io li odio.

Oreste: Sta’ attento: hai confessato la tua debolezza. Io non ti odio. Che abbiamo in comune, tu e io? Passeremo uno accanto all’altro senza toccarci, come due navi.Tu sei un Dio, io un uomo libero: egualmente soli ed eguale è la nostra angoscia. Chi ti dice che io non abbia cercato il rimorso durante questa lunga notte? Il rimorso. Il sonno. Ma io non posso pià aver rimorso. Né dormire. (una pausa)

Giove: Che conti fare?

Oreste: Gli uomini d’Argo sono i miei uomini. Devo aprire gli occhi a costoro.

Giove: Povera gente! Stai per donare a questi tuoi uomini solitudine e vergogna, per strappare il panno con cui io li avevo ricoperti e mostrargli d’un tratto la loro esistenza, la loro oscena e sciocca esistenza, che hanno avuto in cambio di niente.

Oreste: Perché negare a costoro la disperazione che è in me, poiché tale è la loro sorte?

Giove: Che ne faranno?

Oreste: Quello che vorranno: sono liberi e la vita dell’uomo comincia al di là della disperazione.

Polange