domenica 17 febbraio 2013

SI STA FACENDO SEMPRE PIU' TARDI




Couple, Kuligowski, 1978

E’ stato come se sotto i piedi mi si fosse aperta una voragine fatta di tempo 
e io vi sono sprofondato dentro e ti ho raggiunta, 
perché non ci si può opporre alla fotografia di un giornale spiegazzato 
macchiato d’insalata, ho dato una spolveratina al velo di terriccio 
che ricopriva i tuoi occhi e lì, dove tu sei, sono tornato anche io.


Si sta facendo sempre più tardi , A. Tabucchi



Anche i libri ritornano e diventano altro nella nostra cartografia interiore. Tracciano segmenti che soltanto la riflessione a posteriori può collegare, come se non possa esistere presente che non richiami il passato, che ad esso si intrecci in cifre misteriose che col tempo e la pazienza rifulgono di nuovi bagliori. Niente è novità, ogni cosa è disvelamento. 

Dopo aver pubblicato il romanzo in forma di lettere, Si sta facendo sempre più tardi, Tabucchi ritorna sulla misteriosa foto di copertina del fotografo Kuligowski comprata a Parigi da un bouquiniste. Tabucchi scrive la storia del ritratto in un brano di  "Autobiografie altrui". Metaracconto a partire da quell'immagine avvolgente che esonda di significati, emozioni e remote evocazioni.    



tratto da "Autobiografie altrui", 
di Antonio Tabucchi

Quella foto misteriosa che valeva un libro intero  




Era sicuramente metà settembre. L'anno non lo ricordo con certezza: la fine degli anni Ottanta, comunque, probabilmente l'ottantanove. Quel pomeriggio di settembre uscivo da una piccola galleria nei pressi di Rue Jacob, a Parigi, dopo aver visitato una mostra di fotografie di Robert Doisneau. Doisneau è un fotografo che i critici severi hanno sempre giudicato con una certa sufficienza. E' considerato "amabile", se non "pittoresco": ha colto col suo obiettivo quella Parigi forse stereotipata dove si vedono vecchietti col basco e la baguette sotto il braccio, monelli irridenti, robuste e burbere portiere con i pugni sui fianchi, pittori della domenica, innamorati che si baciano lungo la Senna. Una Parigi che assomiglia a quella di Jacques Prévert e di Edith Piaf e dove, seppure con un tocco di malinconia, la vita è comunque "en rose". Probabilmente non sono troppo esigente: a me Robert Doisneau è sempre piaciuto. O meglio, non di rado mi ha dato emozioni, così come ti può toccare una canzonetta o un'aria di fisarmonica, quella musica, come direbbe Drummond de Andrade, che in certe giornate è più adatta al nostro umore di una sinfonia.





Ma quel giorno, più che per la mia simpatia per Doisneau, ero entrato nella piccola galleria perché su un noto settimanale era apparsa "l'accusa" di un critico autorizzato il quale, scandalizzando la Francia e tutti gli ammiratori di Doisneau, affermava che molte istantanee del celebre fotografo, e in particolare quelle degli innamorati felici che si baciano per strada, non erano affatto spontanee, ma una messinscena. In sostanza: Doisneau avrebbe pagato coppie di giovani innamorati affinché si baciassero "spontaneamente" per il suo obiettivo nei boulevards parigini. Uscendo dalla galleria la mia riflessione circolava intorno al seguente quesito: cos'è "naturale" e cos'è "artificiale"? In altri termini: qual è il confine fra realtà e finzione? Sulla copertina del catalogo che avevo sotto il braccio c'era proprio l'immagine che il critico-detective indicava come "truccata", la foto ormai celebre di una coppia di innamorati che si scambiano un bacio al volo. Sono giovani, carini, entusiasti della vita: lei ha una gonna plissettata da anni sessanta che l'obiettivo ha fissato in un'immobile giravolta; lui ha un ciuffo sulla fronte e un impermeabile svolazzante. Sullo sfondo ci sono i fiori di un fiorista, palazzi, passanti sui marciapiedi di una grande città: Parigi.


Mi chiedevo: anche ammettendo che il fotografo avesse assoldato questi due innamorati affinché si baciassero, forse che il loro bacio non era spontaneo? Quel bacio in più che il ragazzo e la ragazza si scambiavano a pagamento era forse meno vero di tutti i veri baci che abitualmente si scambiavano per le vie di Parigi? Così riflettendo percorsi Rue des Saints-Pères e arrivai alla Senna. Era una bella giornata, e le bancarelle dei bouquinistes erano aperte. Mi soffermai davanti a una che oltre a libri usati vendeva soprattutto vecchie riviste, menù di ristoranti ormai scomparsi, vecchie stampe, e vidi un'immagine che mi colpì. Era una fotografia formato cartolina e raffigurava un uomo che abbraccia una donna. La donna è ritratta di spalle e indossa un vestito nero scollato a v. Ha in testa una cappello bianco che è contemporaneamente la sua testa e la testa dell'uomo che l'abbraccia, perché esso nasconde i volti. Lui si afferra a lei con un abbraccio spasmodico, come un naufrago attaccato a una roccia, si direbbe.


Il corpo della donna non manifesta alcuna visibile emozione, lei fa solo un piccolo gesto con la mano destra, ma non si capisce bene se è un gesto di protezione e tenerezza per l'uomo che l'abbraccia, oppure se sta semplicemente reggendo la falda del cappello che il vento potrebbe far volare via. Intorno a quei corpi fusi in un abbraccio, il grigio del cielo (era una foto in bianco e nero) e un orizzonte vuoto. Quello che mi colpì non fu solo la forza dell'immagine, cioè un momento di vita rapito da un'istantanea, ma anche il "mistero" di quell'abbraccio. Di cosa si trattava? Qual era il segreto di quell'abbraccio così drammatico? La foto costava pochi franchi. La comprai. Sul retro era indicato il nome del fotografo, o meglio, un cognome senza il nome dei battesimo (Kuligowski), il luogo dove era stata ripresa l'immagine (Château-Landon), la data (1978), e il titolo: Couple. E poi, accanto al simbolo del copyright, il nome duna piccola casa editrice (o stamperia) che con tutta probabilità era specializzata in cartoline, calendari e altre piccole pubblicazioni di questo tipo.


Quell'immagine, che misi nella mia agenda, mi ha accompagnato per molti anni, seguendomi anche in lontani viaggi. E durante tutti questi anni non ho mancato di porre il quesito che quell'immagine contiene a chi mi era vicino: mia moglie, i miei figli, amici di vari paesi. Di cosa si tratta, secondo te? Di un addio? Di un ritorno? E chi è ritornato, o chi sta partendo, lui o lei? Oppure: e se invece questo disperato abbraccio nascondesse una sciagura? Se, supponiamo, si trattasse di un padre e di una madre (dai corpi si capisce che sono persone mature) e lui avesse saputo di una disgrazia che li riguarda; sua moglie è a una festa, ignara, sta bevendo un cocktail in un giardino, chiacchiera con gli altri invitati, e all'improvviso lui arriva, l'abbraccia, il loro figlio è morto in un incidente, lui lo sa, ma come si fa a dire a una donna che sta bevendo un cocktail in un giardino che suo figlio è appena morto? Nel febbraio del 2001 l'editore Feltrinelli mi chiese se avevo suggerimenti per la copertina di Si sta facendo sempre più tardi che stava per uscire. Senza sapere bene perché pensai che la fotografia che avevo portato con me per tanto tempo avesse qualcosa a che vedere col libro che avevo scritto.


L'editore riuscì a rintracciare la casa editrice che possedeva i diritti, e l'immagine poté essere utilizzata per la copertina. Io, invece, in tutti quegli anni, avevo tentato di reperire notizie sul fotografo, ma senza esito: risultava sconosciuto anche nelle migliori librerie specializzate. Forse si trattava semplicemente di una bella e casuale immagine che era stata scelta per una cartolina. Il libro uscì in francese l'anno seguente (gennaio 2002) presso il mio editore di sempre (Christian Bourgois), con la stessa copertina. A metà gennaio Christian mi propose di fare una seduta di firme in una libreria vicino alla Sorbona. Era un pomeriggio piovoso e nella libreria c'era un certo numero di persone che avevano acquistato il libro e che mi aspettavano affinché lo firmassi. Seduto a un tavolino cominciai ad assolvere il mio compito, che durò un certo tempo. Quando tutti erano partiti si presentò un signore non più giovane, alto, dall'aspetto elegante. Gli chiesi a chi dovevo dedicare il libro. "Kuligowski" rispose. "Come il fotografo?, chiesi con una certa sorpresa. "Come il fotografo", confermò il signore. A quel punto la mia curiosità ebbe il sopravvento. "Scusi", chiesi, "ma lei è parente del fotografo?". "Io sono il fotografo", rispose lui con aria imperturbabile. Mi alzai, ci scambiammo una stretta di mano, chiamai Maria José e Dominique e Christian Bourgois: "Venite, ho trovato il fotografo, c'è qui il signor Kuligowski!".


Facemmo un brindisi, seguirono complimenti, domande d'obbligo: perché non si era mai fatto vivo, se aveva ricevuto il compenso dovuto, cose così. Tutto a posto, confermò il signor Kuligowski. E poi disse che gli sarebbe piaciuto farmi un ritratto, e farlo anche al mio editore: io e Christian che gli lasciamo telefono e indirizzo, grazie, per noi sarebbe un onore, e il signor Kuligowski che fa per accomiatarsi con gentilezza, scusatemi, ma ora devo andare, è stato un vero piacere. Eh no, signor Kuligowski, gli dico accompagnandolo verso l'uscita, scusi, ma non può andarsene così, la sua fotografia mi ha sollevato talmente tante ipotesi in questi anni, è davvero misteriosa, ma di cosa si tratta? quel disperato abbraccio, o almeno a me sembra disperato, cos'è? E il signor Kuligowski, con la sua aria imperturbabile, ormai sulla porta: "Un remariage, c'était un remariage". Probabilmente legge sul mio viso la sorpresa e allora precisa: negli anni settanta, lui di professione faceva il fotografo di matrimoni, battesimi e cerimonie del genere, quei due erano una coppia che aveva divorziato anni addietro e poi, passato il tempo, avevano deciso di risposarsi. "Succede, sa?".







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