martedì 4 agosto 2009

WHAT NOW FOR IRAN?

Ancora Iran. Incerto al momento l’esito della protesta verde ma sempre più solo e delegittimato il neoeletto Ahmadinejad. Non vi è vera e propria rivoluzione a dire il vero, ma l’inasprirsi di una crisi di regime su un fronte, la spaccatura tra il clero conservatore e quello moderato, e la ferma e continua indignazione del popolo in strada, di tutti coloro che sono stati depredati del proprio voto con un golpe malcelato nel nome di una rivoluzione, quella sì, che aveva spazzato il crudele e mesto teatrino coloniale occidentale retto dallo Scià nel 1979. La rivoluzione islamica, sfociata nella istituzione di una Repubblica islamica, come tutte le rivoluzioni, aveva prodotto da subito, un risultato eguale e contrario, l’esoso prezzo da pagare per ottenere l’ indipendenza dall’Occidente che aveva mostrato il suo volto più sprezzante e impietoso, quello del controllo ad ogni costo del potere su quella regione strategica. Ma già all’epoca della promessa, in seguito delusa, del presidente Khatami e la sua ardimentosa “lettera per il domani” si era fatta strada un’idea seducente di paese democratico e aperto, padrone del proprio destino e delle proprie risorse, di uno stato laico fondato non sull’oscurantismo fondamentalista ma sulla società civile e il rispetto dei diritti umani. Perché la democrazia può essere coniugata con l’Islam a patto di liberarsi del ciarpame ottuso e falsamente misticheggiante .

Il processo di modernizzazione di questo paese, a lungo bloccato dall’avidità dell’imperialismo occidentale che lo ha asservito ai suoi bisogni e poi dalla lugubre teocrazia degli ayatollah, sta seguendo un cammino impervio, e ancora oggi, l’Iran si presenta come una prigione per i suoi stessi cittadini. Ma la censura al tempo del Web 2.0 fatica a stringere le sue maglie, nonostante le strumentazioni da Big Brother orwelliano dell’apparato governativo. Quante donne e quanti uomini dovranno imprigionare, picchiare, ammazzare, per impedire la comunicazione nell’era della comunicazione?
La Guida Suprema spirituale del paese, l’ayatollah Khamenei, sembra perdere terreno e credibilità nell’ostinato proposito di proseguire sulla linea intrapresa creando una frattura difficilmente ricomponibile all’interno del clero integralista in un paese ormai diviso dai suoi governanti. Ma i rapporti con il neopresidente sembrano già essersi raffreddati, così come è emerso dalla cerimonia di insediamento.
Ieri, su Al Jazeera English un docente e studioso di politica estera americana e islamica, Bernd Kaussler ha scritto che il presidente Ahmadinejad sta ora combattendo su tre fronti: contro i conservatori, in dubbio sulle sue competenze e sulla consistenza del suo programma politico, contro i riformisti, che stanno essenzialmente combattendo per la loro sopravvivenza politica, e contro il suo stesso popolo sceso nelle strade. La battaglia di questi giorni segnerà l’inizio del rinnovamento per il paese dallo smisurato e composito patrimonio storico e culturale, capace di fluire con raffinata intelligenza nella modernità più saggia, oppure, vedrà il dischiudersi della tetra deriva dittatoriale con la fine inevitabile della Repubblica islamica.

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