mercoledì 24 marzo 2010

la vertigine senza modernità



In noi vi sono tutte le passioni
e tutti i vizi
e tutti i soli e le stelle
abissi e alture,
alberi, animali, boschi, fiumi.
Questo siamo.
Le nostre esperienze
sono nelle nostre vene,
nei nostri nervi.
Vacilliamo.
Ardenti
tra grossi blocchi di case.
Sopra ponti d'acciaio.
Luce da mille tubi
ci avvolge,
e mille notti violette
incidono rughe profonde
nei nostri volti.



George Grosz


E’ proprio lui, il disegnatore e pittore tedesco del deforme e del grottesco, il critico feroce della decadenza della borghesia a cavallo delle due guerre, l’ esponente della corrente della Nuova Oggettività, amico di Otto Dix e di tutte le avanguardie del Novecento: George Grosz. Nel 1933 fuggì dalla Germania nazista per riparare a New York. Durante l’esilio americano egli scoprì il giovane talento di Andy Warhol e mostrò una sana antipatia per Jackson Pollock.
In questa poesia espressionista Grosz ripropone la visione di una modernità “tentacolare”,dalle luci violette come quelle dell’inferno dantesco, fatta di mille tubi che stritolano e di vite in bilico sopra “ponti d’acciaio”. Nulla da invidiare alle atmosfere del T.S. Eliot della Terra Desolata”e del resto, già Thomas Mann parlava della città come di una "Weltstadt prussiana americana". New York come Berlino, come Londra, come Tokyo, Parigi… “questo siamo” scriveva Grosz, eh sì, nel mondo omogeneizzato e reso conforme da merci e denaro il “vacillare” non è lo stordimento futurista, l’ebbrezza della corsa verso le promesse dell’avvenire ma la trasfigurazione del volto dell’umano, le rughe della specie: “le nostre esperienze sono nelle nostre vene, nei nostri nervi”. Nessuna apocalisse da coniugare al futuro per Grosz, come diceva Heidegger “il terribile è già accaduto”.


polange




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