domenica 15 aprile 2012

VARIAZIONI SELVAGGE


Nel video sopra, HELENE GRIMAUD SUONA L' ADAGIO DAL MOZART PIANO CONCERT  N. 23, Deutschegrammophone 2011

Musica, natura e poi poesia e lupi. Hélène Grimaud. Trovarsi, correre "altrove" per sedare un senso di inadeguatezza, per riabitare il luogo che appartiene all'io prima di ogni prima, la chiamata a se stessi quando si è stranieri al proprio esistere. "Subire o scegliere di subire il destino" scrive, dire di sì al proprio daìmon oppure essere prigionieri per sempre. Lei ha scelto. Dolorosamente, con ostinazione ha scelto di abbracciare la sua natura di "donna che corre con i lupi". Musica e grandi spazi e per compagnia i lupi...Il pianoforte non bastava per dire "sono io". Nel libro che narra la sua storia ella spiega: “Ero alla ricerca del mio baricentro, di quel punto esatto che spetta a ognuno e ne definisce il posto, al di là del dolore e della frustrazione: il luogo del suo adempimento.” Correre lontano per raggiungersi, con quel silenzio nel cuore che è la Musica vera :“la musica si è impadronita di me perché è l’estensione del silenzio, di quel silenzio che sempre la precede e ancora vi echeggia. La musica è una via d’accesso a un altrove della parola, a quel che la parola non può dire e che il silenzio, tacendolo, dice. Una musica senza silenzio cos’altro è, se non rumore ?” Mi piace la sua prosa leggera, rispettosa dei complessi movimenti dell'anima e il ritmo di un racconto che narra in parallelo la sua storia e quella dei lupi. Due soggetti considerati pericolosi dai più.

polange



"...Ma un luogo in cui non provavo alcun senso di estraneità c'era. Era la Camargue, ed era magica. Un sogno proveniente dal mare. A poche ore d'auto soltanto, si precipitava in un altro universo, in cui trionfava con impeto qualcosa di selvatico, di indomito.

Se ovunque avevo l'impressione d'essere una nota stonata, là, invece, mi sentivo parte di una grande armonia.Negli stagni, negli specchi d'acqua sconfinati, si sentiva la forza del Rodano, s'intuiva che poteva diventare un toro, ondate come cornate. Lì non c'era più il sole delle api e delle mimose da giardino, ma l'implacabile bagliore del mezzogiorno ai quattro punti cardinali.

I fenicotteri rosa, i cavalli selvaggi, smuovevano il penetrante profumo del sale e della terra. La libertà con cui, d'improvviso, gli uni prendevano il volo e gli altri partivano al galoppo scuotendo la criniera, mi rinvigoriva.La Camargue era più di un paesaggio: la fugace avvisaglia, l'intuizione folgorante di un'armonia tra me e un avvenire. Là, per la prima volta, ebbi il presagio di grandi cose, il presagio di un destino.



...Sapevo che era un territorio di tutt'altra specie, uno di quegli spazi da cui ci si slancia, e andarci mi piaceva più di ogni altra cosa. Correvo piena di gioia, di esuberanza, per quella terra d'orizzonti dove ogni cosa esagera: sole troppo rovente, vento troppo forte, troppo imprevedibili le acque. Mi ripetevo le parole di Cézanne: Non mi avranno.

Me lo diceva anche la Camargue, e a tratti smettevo di far salti, corse e capriole nell'erba alta, e m'imponevo di camminare in punta di piedi, per non disturbare. Ero un'ospite, soltanto tollerata, come mi ricordavano le scottature del sole sulle spalle dalla pelle chiara e le punture delle zanzare; e al tempo stesso mi sentivo cavallo, vento, furiosa marea, dolce giacinto. Mi rotolavo nelle onde. Finalmente amica del mio corpo, nè femmina nè maschio. Soltanto viva: interamente, meravigliosamente viva. "


Hélène Grimaud, tratto da Le Variazioni selvagge, Bollati Boringhieri




















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