martedì 22 settembre 2009

CHAPEAU !


Talvolta, capita di osservare nei luoghi e negli esseri più insospettati uno slancio verso la grandezza, una nobiltà interiore non gridata ma agita nel silenzio che è sempre più difficile rinvenire ad occhio nudo nel quotidiano frullare di gesti egotisti, chiassosi e noncuranti spesso dettati dal più fedele conformismo al comune pensare e al comune sentire.
Nella miseria interiore che questo grado di civiltà ci ha consegnato sembra quasi un miracolo riuscire ancora a riconoscere comportamenti ispirati alla più alta dignità e degni di un esclamazione “chapeau!” che è una sorpresa per tutto ciò che di nobile sopravvive e al quale vorremmo noi stessi aspirare come ad un posizionamento regale, un piedistallo inarrivabile ma da omaggiare anche quando qualcun altro l’ha conquistato. “Chapeau” io dico a tutti coloro che sono capaci ancora di gesti siffatti, di silenziose grandezze dell’anima nel fragore ottuso di questo mondo.
In “L’infinito viaggiare”, Claudio Magris racconta in maniera toccante un episodio del quale è stato involontario spettatore nella sala del monastero di Pedralbes, a Barcellona. Una coppia di padre e figlio, il primo, un signore di settantacinque anni e il secondo, un ragazzone di età indefinibile, affetto dalla sindrome di Down, visitano la sezione Thyssen-Bournemisza fermandosi ad ogni quadro. Tenendolo per mano, il padre spiega al figlio con compiacimento e senza il minimo segno di stanchezza, ogni dettaglio dell’arte dei Maestri del passato, il Beato Angelico, Tiziano, Pietro Longhi. Arrivati al Ritratto di Marianna d’Austria del Velasquez, il padre esclama il nome dell’artista e si toglie il cappello portandolo più in alto che può. Qui, Claudio Magris coglie la relazione più alta che possa esistere tra due esseri umani,e che soltanto un occhio sensibile e generoso come il suo può “vedere” nella sua grandezza incommensurabile. Egli scrive, a proposito di questo padre che
“la croce che, con la minorazione del figlio, gli è stata gettata addosso da un’ingiustizia imperdonabile non ha curvato le sue spalle, non lo ha piegato né incattivito, non gli ha tolto la gioia di riconoscere la grandezza, renderle omaggio e farne partecipe la persona per la quale verosimilmente vive, suo figlio. Spesso il dolore stronca, inacidisce, spinge incomprensibilmente a negare ciò che altri, ai quali la sorte è stata prodiga di doni, sono riusciti a creare ottenendo gloria nel mondo; soprattutto una pena che costringe nell’ombra, come quella minorazione, rende difficile rallegrarsi e godere dello splendore raggiunto da un altro. Quel gesto rispettoso e festoso di togliersi il cappello è un gesto regale e lo è ancor più l’evidente piacere col quale il vecchio comunica il suo entusiasmo al figlio. Quell’amore paterno e filiale fa sì che due persone si bastino, come si basta l’amore. E’ davanti a quell’uomo, che senza saperlo è divenuto per me un piccolo maestro, che c’è da togliersi il cappello.”

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