martedì 12 febbraio 2019

IO E TE

IO E TE DI BERTOLUCCI






Io e te doppio sogno italiano sulla gioventù italiana 2.0. Non credo che la telecamera di Bertolucci sia rimasta ferma agli anni '70. Poco sa di chi attraversa oggi il tunnel dell'adolescenza chi rinviene nella pellicola la solita paccottiglia dei ribelli ch'eravamo. Certo è vero che i giovani non cambiano mai. Si assomigliano con quei brufoli che devastano il viso angelico di un'età fardello insopportabile, implosione confusa di emozioni ciclotimiche difficili da individuare, circoscrivere, canalizzare in un linguaggio che sia comprensibile persino a se stessi. L'inferno della solitudine di chi vive come una condanna il troppo sentire, il dereglement dei sensi che finisce in un sottoscala buio di un palazzo borghese a dare sfogo alla propria voglia di sentirsi vivi. 
Rewind. Dal romanzo del più giovane e disincantato Ammaniti alla telecamera matura e sapiente del più grande regista italiano del Novecento, colui che ha filmato il novecento delle rivolte contadine, la rivolta claustrofobica di un vecchio pazzo e di una giovane sbandata nell' "ultimo tango a Parigi", i "dreamers" cinefili del sessantotto parigino tra Eros, trasgressione e immaginazione al potere e ancora, la ragazza di "io ballo da sola", un'altro viso di adolescente incatenata alla sua stanzetta esplosiva emotivamente. Tuttavia non è così, "io e te" non è un dejà vu con temi cari al regista. È una visione nuova di una adolescenza connessa, wireless e perennemente in cuffia, di adulti scomparsi dalla scena, di ventre di caverna rigenerante, di incontro con l'altro che non è per nulla l'immagine della perfezione che il mondo borghese richiede. Il tunnel da sopravvissuti da the day after e la clandestinità dell'essere vissuti nell'adolescenza trincea che stacca la spina con quei palazzi dalle finestre serrate e cerca con una lente di ingrandimento la scoperta impossibile di un mondo regolato da leggi naturali come quello animale. Il mondo animale ha due forme sottoposte a studio, lo strano animale che chiuso in gabbia disegna un infinito con il suo percorrere centimetri di uno spazio negletto e le formiche organizzate in una società ordinata, operosa, mai sbandata. C'è tanta psicoanalisi nella pellicola, dall'incipit nello studio di uno psicologo che è maschera del il regista stesso, il suo alter ego . Sedia a rotelle, la scala a chiocciola ritratto della più celebre fotografia e del sogno di avvitamento della società borghese, fino allo scavo su quei piccoli delitti familiari che fanno di quei due ragazzi quelli che sono, o forse no. Paura di vivere al fondo o troppa fretta di vivere in due immagini di gioventù che ritiene di esser sbagliata quando è tutto intorno sbagliato perchè murato al loro reale sentire, incapace di trovare voce. E la voce arriva con un pezzo di David Bowie, che sembra scritto proprio per quei due volti nella catacomba della borghesia del 2012. L'odddity space ordito, la stranezza nello spazio, l'astronauta perso nello spazio che non riesce a tornare a casa sulla terra e lancia segnali di soccorso alla base terrestre diventa ragazzo solo, ragazza sola nella versione italiana di Mogol. Anno 1970. Le cuffie che prima lanciavano i Muse ora ci ricordano con una stretta vitale con l'abbraccio impacciato e disciolto in poesia che sì, c'è sempre una via di uscita dal cunicolo. Basta volerlo, per salvarsi, basta cercarsi. Ed è l'alterità che ci scopre, l'altro che ci illumina.



Soundtrack: Ragazzo solo, ragazza sola, versione italiana testo di Mogol, di Space Oddity , cantata dallo stesso David Bowie. 1970







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