mercoledì 30 giugno 2010

CHI SCOMMETTE SUL FUTURO DELL'EUROPA?


È cominciata con la crisi in Grecia, poi il maxi-scudo da 750mila euro contro la speculazione in Borsa, poi le giornate nere con gli attacchi ripetuti alle piazze di Milano e Madrid e poi ancora le riforme e il “regime controllato” dei conti pubblici degli stati nazionali. Cosa sta accadendo all’Europa? È colpa di qualche ditino incauto sui terminali di Wall Street? Colpa delle invise agenzie di rating oppure di un complotto del mercato speculativo ai danni delle moneta unica europea? Sul terreno tutto virtuale della finanza globale sembra essersi mossa l’offensiva all’economia reale degli “stati sovrani” europei nel tentativo di far saltare il banco. Questa volta si gioca con gli hedge funds congegnati per scommettere in maniera scellerata sul collasso debitorio dell’eurozona. Che la Grecia fosse solo la punta dell’iceberg lo si era capito dal fatto che dopo il via libera agli aiuti le Borse avevano continuato la loro pericolosa discesa e le divisioni mostrate all’interno degli stati membri, comprese le esitazioni un po’ spocchiose della Germania, davano la conferma di quanto percepito nei santuari della finanza: la debolezza politica dell’Unione Europea.
Il difetto genetico dell’Unione Europea risiede nella sua costruzione che ha prodotto una moneta, l’euro, senza stato e senza governo. Maastricht con la sua clausola di esclusione si è rivelato una gabbia e il patto di stabilità nient’altro che una serie di indicazioni senza nessuna vera autorità di sorveglianza. Nella società mondiale del rischio, in cui ogni paese è connesso, non esistono élite che si salvino, tra l’altro, gettando a mare la zavorra, come la Germania aveva pensato di fare nel caso greco. Il Vecchio continente si mostra così impigliato in altre logiche rispetto a quel progetto democratico visionario che i padri dell’Europa avevano sostenuto e in parte realizzato.
Dal manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli fino al venerdì nero delle borse sembra concludersi una stagione iniziata con il sogno di un’area comune ispirata agli alti valori democratici e finita nell’euroscetticismo di “piccole patrie” dominate da grandi egoismi. L’impasse di una unione di stati nazionali potrebbe trovare soluzione soltanto in un ritrovato progetto unitario, una sfida della quale parla Joschka Fischer, il ministro degli Esteri tedesco quando rilancia l’idea dello Stato Europa, una entità geopolitica in grado di sbaragliare le disuguaglianze e le discriminazioni in un disegno condiviso che coinvolga i cittadini e la politica, non incagliato nelle secche dei mercati o dei burocrati di palazzo. Insomma, la paura del tracollo sembra spingere l’Europa verso quel grande e antico sogno di un reale “governo” della moneta unica. Solo così il cammino inceppato dell’Unione troverebbe la sua ripresa. Bisognerebbe che gli stati nazionali cedessero le loro fette di potere e che si impegnassero a colmare le disomogeneità politiche, economiche e culturali nell’eurozona, lanciando strategie di azione ispirate alla cooperazione piuttosto che al mero particulare. Le misure draconiane in campo finanziario chieste ai paesi membri meno virtuosi non apparirebbero così una punizione inflitta dagli stati “virtuosi” e operosi. Anche il padre dell’Europa Jacques Delors considera la mancanza di cooperazione il vero tallone d’Achille dell’Europa. Infatti, il clima attuale è per tutti al limite dell’eurofobia: i britannici disincantati, i tedeschi e i francesi praticamente alle corde mentre ovunque trionfano piccoli nazionalismi ed antichi pregiudizi. Nella storia dell’Unione, dalla gestazione dell’euro fino alla crisi incombente ha pesato sempre il fattore etnico, la differenza antropologica e culturale tra gli stati “virtuosi” e gli stati lassisti (i “Piigs”), per cui da una parte i nordici con il loro rigore e dall’altra greci, portoghesi, spagnoli, italiani fraudolenti per vocazione, geneticamente approntati all’approssimazione. Finché questi pregiudizi e stereotipi troveranno terreno fertile, sorretti da un’opinione pubblica foraggiata da leader politici miopi che cavalcano la paura e l’egoismo, nulla di condiviso e di veramente duraturo potrà aver luogo in Europa. Il laboratorio Europa va rimesso in moto e presto perché gli stati membri sanno bene che, come recita il Manifesto di Ventotene: “la via da percorrere non è facile né sicura – ma deve essere percorsa e lo sarà".

Angela Poli

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