giovedì 24 dicembre 2009
mercoledì 23 dicembre 2009
NATALE A COLORI
Non ho mai amato l'atmosfera natalizia e di fine anno, mi mette tristezza e malinconia, se non talvolta, proprio malumore. Preciso: una certa atmosfera finta e melensa. Bisogna essere forzatamente felici, indossare le maschere della bontà, entrare nella giostra consumistica dell' "io do, tu dai", mischiarsi alla folla e inseguire la compagnia, officiare il rito della massa, sfuggire allo spettro mortale delle quotidiane solitudini intorno. Io invece, vorrei incontrarle tutte queste mille solitudini, vivere giorni "allo scarto", depistati dal senso comune e dai consueti itinerari ma dotati di significato proprio, da tesaurizzare, una ricchezza in più alla memoria, un senso all'incontro e un omaggio al vivere...uno sporgersi anche nel dì di festa nel mondo di quei sogni che fanno circolare idee e poi le sollevano e le rifrangono...
polange
Lettera a un marocchino------------ --------- --------
Lettera al "fratello marocchino"
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(Don Tonino Bello)
Fratello marocchino. Perdonami se ti chiamo così, anche se col Marocco non hai nulla da spartire. Ma tu sai che qui da noi, verniciandolo di disprezzo, diamo il nome di marocchino a tutti gli infelici come te, che vanno in giro per le strade, coperti di stuoie e di tappeti, lanciando ogni tanto quel grido, non si sa bene se di richiamo o di sofferenza: tapis!
La gente non conosce nulla della tua terra. Poco le importa se sei della Somalia o dell'Eritrea, dell'Etiopia o di Capo Verde. A che serve? Il mondo ti è indifferente.
Dimmi marocchino. Ma sotto quella pelle scura hai un'anima pure tu? Quando rannicchiato nella tua macchina consumi un pasto veloce, qualche volta versi anche tu lacrime amare nella scodella? Conti anche tu i soldi la sera come facevano un tempo i nostri emigranti? E a fine mese mandi a casa pure tu i poveri risparmi, immaginandoti la gioia di chi li riceverà? E' viva tua madre? La sera dice anche lei le orazioni per il figlio lontano e invoca Allah, guardando i minareti del villaggio addormentato? Scrivi anche tu lettere d'amore? Dici anche tu alla tua donna che sei stanco, ma che un giorno tornerai e le costruirai un tukul tutto per lei, ai margini del deserto o a ridosso della brugheria?
Mio caro fratello, perdonaci. Anche a nome di tutti gli emigrati clandestini come te, che sono penetrati in Italia, con le astuzie della disperazione, e ora sopravvivono adattandosi ai lavori più umili. Sfruttati, sottopagati, ricattati, sono costretti al silenzio sotto la minaccia di improvvise denunce, che farebbero immediatamente scattare il "foglio di via" obbligatorio.
Perdonaci, fratello marocchino, se noi cristiani non ti diamo neppure l'ospitalità della soglia. Se nei giorni di festa, non ti abbiamo braccato per condurti a mensa con noi. Se a mezzogiorno ti abbiamo lasciato sulla piazza, deserta dopo la fiera, a mangiare in solitudine le olive nere della tua miseria.
Perdona soprattutto me che non ti ho fermato per chiederti come stai. Se leggi fedelmente il Corano. Se osservi scrupolosamente le norme di Maometto. Se hai bisogno di un luogo dove poter riassaporare, con i tuoi fratelli di fede e di sventura, i silenzi misteriosi della tua moschea. Perdonaci, fratello marocchino. Un giorno, quando nel cielo incontreremo il nostro Dio, questo infaticabile viandante sulle strade della terra, ci accorgeremo con sorpresa che egli ha... il colore della tua pelle.
lunedì 21 dicembre 2009
IO SONO VERTICALE
polange
Io sono verticale
Ma preferirei essere orizzontale.
Non sono un albero con radici nel suolo
succhiante minerali e amore materno
così da poter brillare di foglie a ogni marzo,
né sono la beltà di un'aiuola
ultradipinta che susciti grida di meraviglia,
senza sapere che presto dovrò perdere i miei petali.
e la cima di un fiore, non alta, ma più clamorosa:
dell'uno la lunga vita, dell'altra mi manca l'audacia.
Stasera, all'infinitesimo lume delle stelle,
alberi e fiori hanno sparso i loro freddi profumi.
Ci passo in mezzo ma nessuno di loro ne fa caso.
forse assomiglio a loro nel modo più perfetto -
con i miei pensieri andati in nebbia.
Stare sdraiata è per me più naturale.
Allora il cielo ed io siamo in aperto colloquio,
e sarò utile il giorno che resto sdraiata per sempre:
finalmente gli alberi mi toccheranno, i fiori avranno tempo per me.
Sylvia Plath
martedì 8 dicembre 2009
Il tempo, la materia e l'uomo nell 'universo ...
“Dal giorno in cui una statua è stata terminata, comincia, in un certo senso la sua vita. E’ superata la prima fase, che, per l’opera dello scultore, l’ha condotta dal blocco alla forma umana; ora una seconda fase, nel corso dei secoli, attraverso un alternarsi di adorazione, di ammirazione, di amore, di spregio o di indifferenza, per gradi successivi di erosione e di usura, la ricondurrà a poco a poco allo stato di minerale informe a cui l’aveva sottratta lo scultore.
Non abbiamo più, inutile dirlo, una sola statua greca nello stato in cui la conobbero i contemporanei: scorgiamo appena qua e là, sulla capigliatura di una Kore o di un Kuros del VI secolo, lievi tracce di colore rossastro, comparabili oggi alla più pallida henna, che attestano la loro qualità antica di statue dipinte, con la vita intensa e quasi terrificante di manichini di idoli che per di più sarebbero capolavori.
Questi materiali duri, modellati a imitazione delle forme della vita organica hanno subito, a loro modo, l’equivalente della fatica, dell’invecchiamento, della sventura. Sono mutati come il tempo ci muta. Gli scempi dei cristiani o dei barbari, le condizioni in cui hanno trascorso sotto terra i secoli di abbandono sino alla scoperta che ce li ha restituiti, i restauri sapienti o insensati di cui si avvantaggiarono o soffersero, le incrostazioni o la patina falsa e autentica, tutto, fino all’atmosfera dei musei ove nei nostri tempi sono rinchiusi, ne segna per sempre il corpo di metallo o di pietra.
Talune di queste modificazioni sono sublimi. Alla bellezza come l’ha voluta un cervello umano, un’epoca, una particolare forma di società, aggiungono una bellezza involontaria, associata ai casi della Storia, dovuta agli effetti delle cause naturali e del tempo. Statue spezzate così bene che dal rudere nasce un’opera nuova, perfetta nella sua stessa segmentazione: un piede nudo che non si dimentica, poggiato su una lastra, una mano purissima, un ginocchio piegato in cui si raccoglie tutta la velocità della corsa, un torso che nessun volto ci impedisce di amare, un seno o un sesso di cui riconosciamo più che mai la forma del fiore o del frutto, un profilo ove la bellezza sopravvive in un’assenza assoluta di aneddoto umano o divino, un busto dai tratti corrosi, sospeso a mezzo tra il ritratto e il teschio. Così un corpo scabro somiglia a un blocco sgrossato dalle onde; un frammento mutilo si differenzia appena dal sasso o dal ciottolo raccolto su una spiaggia dell’Egeo. Ma l’esperto non ha dubbi: quella linea cancellata, quella curva ora perduta ora ritrovata non può provenire se non da una mano umana, e da una mano greca, attiva in un certo luogo e nel corso di un certo secolo. Qui è tutto l’uomo, la sua collaborazione intelligente con l’universo, la sua lotta contro di esso, e la disfatta finale ove lo spirito e la materia che gli fa da sostegno periscono pressappoco insieme. Il suo disegno si afferma sin in fondo nella rovina delle cose."
Marguerite Yourcenar, Il tempo grande scultore , 1954
come tirarsi su il morale
Piccola metafisica del divenire
Ma il tempo non smette di imbrigliarci nelle sue maglie strette e dentro questo "ora" scivoliamo già nel "poi" , incredibilmente liberi di fluire attraverso quel cielo senza confini che è l'anima nel suo "logos".
Il tempo del divenire è sempre passaggio e sconfinamento, dolore asciugato e incanto, passo e frontiera, infinito viaggio da sè a sè, come perenne rincorsa di uno straniero che è destinato ad incontrare ciò che già di noi è, il volto che ci assomiglia e che non ci è dato trattenere.
polange
lunedì 30 novembre 2009
TUTTE LE STRADE SONO "LA STRADA"
ARABESCHI ITALIANI
In Italia infatti la linea più breve tra due punti è l'arabesco. Viviamo in una rete d'arabeschi."
Ennio Flaiano
l'esercizio del silenzio
Mi innervosisco quando si parla troppo intorno e a sproposito; mi stupisco, ogni volta, tutte le volte, della assoluta mancanza di peso specifico nelle relazioni umane, superficiali e non, della perdita di spessore del quotidiano, trasformato in baratro del nonsenso, in tritatutto del conforme, nella reiterazione inutile della parola sgonfia e insieme assordante… perché non provare a cambiare terreno? Perché non spostare l’asse cartesiano? Perché non tentare il lodevole esercizio del tacere invece di ammorbare il prossimo di insulsaggini e piccinerie? Forse è colpa della mia incapacità a reggere la mediocrità di pensiero, intendo quello senza scarti, senza curiosità e avventure, senza pericoli e altezze , colpa della mia intolleranza un po' bambina a sopportare con la dovuta ubbidienza il guasto della coscienza narcotizzata nel vivere senza ritorno … e poi, che male c'è nel desiderare un po’ di grandezza e di bellezza nel nostro vivere, nel richiamare una nota epica in questo contesto che offre la contraffazione dell'esistere dove neanche la lacerazione dell'io duole ed ha un senso? Un po’ di silenzio. Ascoltiamo il profondo.
domenica 29 novembre 2009
L'ABITUDINE DI AVERE DELLE ABITUDINI
Col passare del tempo ho imparato che, sebbene questo sia vero, non lo è del tutto. Anche l'abitudine contribuisce a far diventare vecchi; il processo mortale di fare la stessa cosa allo stesso modo alla stessa ora giorno dopo giorno, prima per trascuratezza, poi per inclinazione, e infine per codardia o inerzia. Fortunatamente, la vita incongruente non è l'unica alternativa; infatti il capriccio è dannoso come la routine. L'abitudine è necessaria; è l'abitudine di avere delle abitudini, di fare di una traccia un solco, che è necessario combattere, se si vuole rimanere vivi.
venerdì 13 novembre 2009
I LOGOTETI
" Tutto ciò che posso ricordare è che un logoteta (Sade, Fourier, Loyola) non è soltanto e non è neppure necessariamente uno scrittore che inventa delle parole, delle frasi proprie, in una parola uno stile; è qualcuno che sa vedere il mondo, nel suo mondo, degli elementi, dei tratti, delle "unità", come dicono i linguisti, che combina e organizza in maniera originale, come se si trattasse di una lingua nuova di cui producesse il primo testo."
Io mi chiedo allora, quanti ancora sono capaci di inventare un mondo nuovo attraverso una lingua mai parlata prima?
polange
LA MORTE NON E' NIENTE
Ho scoperto che in realtà, esso appartiene al reverendo inglese Henry Scott Holland (1847-1917), come John Donne, canonico della cattedrale di St. Paul a Londra e anche Regio Professore di teologia al'Università di Oxford.
Il 10 maggio 1910, Scott Holland pronunciò un sermone in seguito alla morte del Re Edoardo VII , dal titolo "Il Re dei Terrori", sermone nel quale affronta il tema dell'insondabilità della morte e della equilibrata reazione alla perdita. Girano delle versioni strane in rete, ibridate con un passaggio di Sant'Agostino, tradotte senza seguire l'originale.
"Death is nothing at all": "La morte non è niente", è il titolo del brano che lo ha reso celebre e questa è la mia personale traduzione dall'originale:
La morte non è niente.
Non conta. Sono solo scivolato nella stanza accanto. Non è successo niente. Tutto rimane esattamente così com'era.
Io sono sempre io e tu sei sempre tu, e la vecchia vita che insieme , con passione, vivevamo è invariata, non è stata toccata.
Quello che eravamo prima l'uno per l'altro lo siamo ancora.
Chiamami con il nome che mi hai sempre dato, che ti è familiare;
parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato.
Non cambiare tono di voce, non assumere un'aria forzata di solennità o tristezza.
Ridi ancora di quello che ci faceva ridere,
di quelle piccole cose che ci piacevano
quando eravamo insieme.
Gioisci, sorridi, pensami, prega per me.
Fa che il mio nome sia sempre la parola familiare di prima:
pronuncialo senza sforzo , senza la più piccola traccia di ombra o di tristezza.
La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto:
è la stessa di prima.
C'è una assoluta e ininterrotta continuità.
Cos'è la morte se non un trascurabile incidente? Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente, solo perché sono fuori dalla tua vista?
Ti sto aspettando, per un breve intervallo, non molto lontano, proprio dietro l'angolo.
Va tutto bene. Niente fa male; niente è perduto. Un breve momento e tutto sarà com'era prima. Come rideremo del dolore della separazione quando ci incontreremo di nuovo!
Henry Scott Holland
Death is nothing at all. It does not count. I have only slipped away into the next room. Nothing has happened. Everything remains exactly as it was. I am I, and you are you, and the old life that we lived so fondly together is untouched, unchanged.
Whatever we were to each other, that we are still. Call me by the old familiar name. Speak of me in the easy way which you always used.
Put no difference into your tone. Wear no forced air of solemnity or sorrow. Laugh as we always laughed at the little jokes that we enjoyed together.
Play, smile, think of me, pray for me. Let my name be ever the household word that it always was. Let it be spoken without an effort, without the ghost of a shadow upon it.
Life means all that it ever meant. It is the same as it ever was. There is absolute and unbroken continuity. What is this death but a negligible accident? Why should I be out of mind because I am out of sight? I am but waiting for you, for an interval, somewhere very near, just round the corner.
All is well. Nothing is hurt; nothing is lost.
One brief moment and all will be as it was before.
How we shall laugh at the trouble of parting when we meet again!
Henry Scott Holland
lunedì 2 novembre 2009
QUANDO IL BAMBINO ERA BAMBINO
quando il bambino era bambino... se ne andava a braccia appese. voleva che il ruscello fosse un fiume, il fiume un torrente, e questa pozza il mare.
quando il bambino era bambino, non sapeva d'essere un bambino. per lui tutto aveva un'anima, e tutte le anime erano tutt'uno.
quando il bambino era bambino, su niente aveva un'opinione. non aveva abitudini. sedeva spesso a gambe incrociate, e di colpo sgusciava via. aveva un vortice tra i capelli, e non faceva facce da fotografo.
quando il bambino era bambino, era l'epoca di queste domande: perché io sono io, e perché non sei tu? perché sono qui, e perché non sono lí? quando é cominciato il tempo, e dove finisce lo spazio? la vita sotto il sole, é forse solo un sogno? non é solo l'apparenza di un mondo davanti a un mondo, quello che vedo, sento e odoro? c'é veramente il male? é gente veramente cattiva? come puó essere che io, che sono io, non c'ero prima di diventare? e che un giorno io, che sono io, non saró piú quello che sono?
quando il bambino era bambino, per nutrirsi gli bastavano pane e mela, ed é ancora cosí.
quando il bambino era bambino, le bacche gli cadevano in mano, come solo le bacche sanno cadere. ed é ancora cosí. le noci fresche gli raspavano la lingua, ed é ancora cosí. a ogni monte, sentiva nostalgia di una montagna ancora piú alta, e in ogni cittá, sentiva nostalgia di una cittá ancora piú grande. e questo, é ancora cosí. sulla cima di un albero, prendeva le ciliegie tutto euforico, com'é ancora oggi. aveva timore davanti ad ogni estraneo, e continua ad averne. aspettava la prima neve, e continua ad aspettarla.
quando il bambino era bambino, lanciava contro l'albero un bastone, come fosse una lancia. e ancora continua a vibrare.
Peter Handke
L'angelo Damiel, ne "Il cielo sopra Berlino", di Wim Wenders
la parola da dire
sia passata come un'ala di rondine,
come una manciata di polvere
gettata e che non è possibile
raccogliere e la descrizione
il racconto non trovano necessità
né ascolto, c'è sempre una parola
una paroletta da dire
magari per dire
che non c'è niente da dire.
Patrizia Cavalli
POETA
polange
Le più belle poesie
si scrivono sopra le pietre
coi ginocchi piagati
e le menti aguzzate dal mistero.
Le più belle poesie si scrivono
davanti a un altare vuoto,
accerchiati da agenti
della divina follia.
Così, pazzo criminale qual sei
tu detti versi all'umanità,
i versi della riscossa
e le bibliche profezie
e sei fratello di Giona.
Ma nella Terra Promessa
dove germinano i pomi d'oro
e l'albero della conoscenza
Dio non è mai disceso né ti ha mai maledetto.
Ma tu sì, maledici
ora per ora il tuo canto
perché sei sceso nel limbo,
dove aspiri l'assenzio
di una sopravvivenza negata
[Alda Merini, Da La Terra Santa, 1984]
sabato 31 ottobre 2009
noi siamo convinti che...
AMICIZIA
Polange
“ Non è il tempo che ci manca, è la capacità di stare l’uno con l’altro in quella forma intermedia che non è la fusione dell’amore e neppure l’anonimato dei rapporti impersonali, è la capacità di muoverci in quella zona di confine tra le prescrizioni della ragione e quegli sprazzi di follia che di continuo attraversano la nostra anima e che solo l’amicizia sa accogliere. Perché proibirci questo spazio?
Tuteliamo l’amicizia. Forse è l’unico spazio che ci rimane per un residuo di sincerità, una sorta di riunificazione con noi stessi. A meno che ciascuno non sia diventato per se stesso il maggior ingombro da evitare, quando non da affogare con le cose da fare, per non trovarci mai a tu per tu con questo sconosciuto che lo sguardo accogliente dell’amico potrebbe incominciare a raccontare, a delinearne i contorni, a propiziarci l’incontro. E’ infatti la scoperta di noi quello che l’amicizia favorisce e propizia. Perché è con se stessi che bisogna essere leali, non necessariamente con il “vecchio amico”.
Umberto Galimberti
sabato 17 ottobre 2009
L'ODORE DELL'INDIA
"A Kajurao, il giorno dopo, abbiamo avuto modo di vedere un altro di questi santoni. Kajurao è il posto più bello dell'India, anzi forse l'unico posto che si può dire veramente bello, nel senso "occidentale" di questa parola. Un immenso prato-giardino di gusto inglese, verde, di una tenerezza struggente, con delle buganvillee sparse a grossi cespugli rotondi, davanti a ognuno dei quali l'occhio si sarebbe perduto a goderne il rosso paradisiaco per ore intere. File di giovinette, col sari, tutte inanellate, lavoravano al prato: e, più in là, file di fanciulli, accucciati sull'erba, e, più in là ancora, giovani che portavano, appesi all'estremità di una pertica, dei secchi d'acqua: tutto in una pace di infinita primavera. E sparsi in questo prato, i piccoli templi: che sono quanto di più sublime si possa guardare in India.
Ai margini del prato, c'era una casetta, una catapecchia non lurida, di mattoni: un fuoco acceso dentro, e qualche suppellettile. Intorno, qualcuno stava trafficando, come preso dalle sue faccende. Era un uomo sui quarantatre anni , con una folta barba nera e una folta zazzera nera alla D'Artagnan. Il suo aspetto era immediatamente antipatico. osservandolo bene, infatti, si vedeva che non stava affatto sfaccendando, occupato ad accendersi il fuoco, a cucinarsi i fagioli o che so io: ma, con la stess attenzione, accuratezza e albagia, di chi fa un lavoro ritenuto indispensabile, stava accudendo a un cerimoniale sacro. Girava come un matto intorno alla catapecchia, si fermava, toccava degli oggetti, faceva dei gesti con le mani, si chiìnava a terra.
Lo lasciammo lì: chiuso nella sua maniaca concentrazione, in un cerchio infinito di tolleranza."
Nel suo resoconto Pasolini racconta anche della visita a madre Teresa di Calcutta e apprezzo molto la descrizione delle impressioni riportate con delicatezza e vigore e anche in questo caso, infinita umana compassione:
" A Calcutta, Moravia, la Morante e io siamo andati a conoscere suor Teresa, una suora che si è dedicata ai lebbrosi. Ci sono sessantamila lebbrosi, a Calcutta, e vari milioni in tutta l'India. E' una delle tante cose orribili di questa nazione, davanti a cui si è del tutto impotenti: in certi momenti ho provato dei veri impulsi di odio contro Nehru e i isuoi cento collaboratori intellettuali educati a Cambridge: ma devo dire che ero ingiusto, perchè veramente bisogna rendersi conto che c'è ben poco da fare in quella situazione. Suor teresa cerca di fare qualcosa: come lei dice, solo le iniziative del suo tipo possono servire, perchè cominciano dal nulla. La lebbra, vista da Calcutta, ha un orizzonte di sessantamila lebbrosi, vista da Delhi ha un orizzonte infinito.
[...]
Suor Teresa è una donna anziana, bruna di pelle, perchè è albanese, alta, asciutta, con due mascelle quasi virili, e l'occhio dolce, che, dove guarda, "vede". Assomiglia in modo impressionante a una famosa sant'Anna di Michelangelo: e ha nei tratti impressa la bontà vera, quella descitta da Proust nella vecchia serva Francesca: la bontà senza aloni sentimentali, senza attese, tranquilla e tranquillizzante, potentemente pratica."
mercoledì 14 ottobre 2009
domenica 4 ottobre 2009
Signora Luna
Signora Luna
Persa nel cielo
lungo la notte del mio cammino
sono due luci
che mi accompagnan
dovunque sto
una nel sole
per quando il sole
mi copre d'oro
una nel nero
per quando il gelo
mi vuole a sé
signora luna che mi accompagni
per tutto il mondo
puoi tu spiegarmi
dov'è la strada che porta a me
forse nel sole
forse nell'ombra
così par esser
ombra nel sole
luce nell'ombra
sempre per me
perse nel cielo
lungo la notte
del mio cammino
sono due luci che brillan sempre
dovunque sto
brillano alte
brillano intense
finchè par essere
che siano gli occhi
di chi ho già perduto
che veglian per me
signora luna che mi accompagni
per tutto il mondo
puoi tu spiegarmi dov'è la strada
che porta a lei
non se ne adombri
signora luna se non ho amato
diglielo a ella
che solo ella
veglia per me
non se ne adombri signora luna
se non ho amato
solo negli occhi
di chi è già stato
veglia per me
ANGELUS NOVUS - L'Angelo della Storia
Mi piacerebbe realizzare ciò che sognava di fare Walter Benjamin, lo scrittore ebreo tedesco morto suicida nel 1940, cioè, scrivere un libro di citazioni, collezionare frasi , montarle, come se si trattasse di un'operazione tecnica da regista, e forse commentarle brevemente con la precisione scarna di un esegeta medievale. Ricucire con pazienza infinita l'ordito e la trama del deposito del passato con la strumentazione tecnica e le modalità del presente. Non si va molto lontano se non ci si ricorda da dove si è partiti e qual è il percorso compiuto. La trama della memoria si dipana e trova la sua ragion d'essere nel lavoro di riconnessione tra frantumi e macerie e questo lavoro si appropria degli strumenti della Techné. Non vi è alcun avvenire se l'Angelo della Storia non ha occhi, viso e ali ritorti verso il Passato, se non è in stato di resistenza nei confronti del progresso. E' necessario ricordarsi del proprio nome. Ricordare chi siamo. Mai voltare la testa dall'altra parte. A costo di sparire nel buio.
C'è un quadro di Klee che si chiama Angelus Novus. Vi è rappresentato un angelo che sembra in procinto di allontanarsi da qualcosa su cui ha fisso lo sguardo. I suoi occhi sono spalancati, la bocca è aperta, e le ali sono dispiegate. L'angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Là dove davanti a noi appare una catena di avvenimenti, egli vede un'unica catastrofe, che ammassa incessantemente macerie su macerie e le scaraventa ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e riconnettere i frantumi. Ma dal paradiso soffia una bufera, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che l'angelo non può più chiuderle. Questa bufera lo spinge inarrestabilmente nel futuro, a cui egli volge le spalle, mentre cresce verso il cielo il cumulo delle macerie davanti a lui. Ciò che noi chiamiamo il progresso, è questa bufera.
(dalle tesi Sul concetto di storia, Einaudi, 1997, pp. 35-7)
Walter Benjamin
martedì 22 settembre 2009
I VIAGGI SONO I VIAGGIATORI
CHAPEAU !
In “L’infinito viaggiare”, Claudio Magris racconta in maniera toccante un episodio del quale è stato involontario spettatore nella sala del monastero di Pedralbes, a Barcellona. Una coppia di padre e figlio, il primo, un signore di settantacinque anni e il secondo, un ragazzone di età indefinibile, affetto dalla sindrome di Down, visitano la sezione Thyssen-Bournemisza fermandosi ad ogni quadro. Tenendolo per mano, il padre spiega al figlio con compiacimento e senza il minimo segno di stanchezza, ogni dettaglio dell’arte dei Maestri del passato, il Beato Angelico, Tiziano, Pietro Longhi. Arrivati al Ritratto di Marianna d’Austria del Velasquez, il padre esclama il nome dell’artista e si toglie il cappello portandolo più in alto che può. Qui, Claudio Magris coglie la relazione più alta che possa esistere tra due esseri umani,e che soltanto un occhio sensibile e generoso come il suo può “vedere” nella sua grandezza incommensurabile. Egli scrive, a proposito di questo padre che “la croce che, con la minorazione del figlio, gli è stata gettata addosso da un’ingiustizia imperdonabile non ha curvato le sue spalle, non lo ha piegato né incattivito, non gli ha tolto la gioia di riconoscere la grandezza, renderle omaggio e farne partecipe la persona per la quale verosimilmente vive, suo figlio. Spesso il dolore stronca, inacidisce, spinge incomprensibilmente a negare ciò che altri, ai quali la sorte è stata prodiga di doni, sono riusciti a creare ottenendo gloria nel mondo; soprattutto una pena che costringe nell’ombra, come quella minorazione, rende difficile rallegrarsi e godere dello splendore raggiunto da un altro. Quel gesto rispettoso e festoso di togliersi il cappello è un gesto regale e lo è ancor più l’evidente piacere col quale il vecchio comunica il suo entusiasmo al figlio. Quell’amore paterno e filiale fa sì che due persone si bastino, come si basta l’amore. E’ davanti a quell’uomo, che senza saperlo è divenuto per me un piccolo maestro, che c’è da togliersi il cappello.”
lunedì 21 settembre 2009
ONLY BREATH
Not Christian or Jew or Muslim, not Hindu
Buddhist, sufi, or zen. Not any religion
or cultural system. I am not from the East
or the West, not out of the ocean or up
from the ground, not natural or ethereal, not
composed of elements at all. I do not exist,
am not an entity in this world or the next,
did not descend from Adam or Eve or any
origin story. My place is placeless, a trace
of the traceless. Neither body or soul.
I belong to the beloved, have seen the two
worlds as one and that one call to and know,
first, last, outer, inner, only that
breath breathing human being.
Non Cristiano, nè Ebreo nè Musulmano, nè Induista nè
Buddista, Sufi o Zen. Di nessuna religione nessun
sistema culturale. Io non vengo dall'Oriente nè
dall'Occidente, nè fuori dall'Oceano, nè su dal Suolo,non celeste nè etereo, e nemmeno
sono composto di elementi. Io non esisto, io non sono
un'entità in questo mondo nè nel prossimo,
non discendo da Adamo ed Eva nè da nessuna delle storie dell'origine.
Il mio luogo è senza luogo, una traccia dell'intracciabile.
Nè corpo nè anima.
Io appartengo all'amato, ho visto i due mondi come fossero uno e quell'uno ho chiamato e conosciuto come il primo, l'ultimo, il fuori e il dentro,
solo respiro che respira l'essere umano.
Poesia di Mevlâna Jalâluddîn Rumi (1207-1273), poeta mistico islamico del XIII° secolo, è noto anche come il fondatore dei dervisci rotanti .Ha scritto più di 70.000 poesie in persiano nella sua vita . Nato in Persia vicino alla frontiera con l’Afghanistan e il Tagikistan, si spostò ad occidente quando i mongoli invasero quella parte di Asia centrale, nella città di Konia (l’attuale Iconio in Turchia), dove visse quarant’anni e dove è sepolto. Studioso della legge islamica , all’età di trentasette anni incontrò un dervish itinerante, Shamps Tabrisi.
lunedì 14 settembre 2009
VOLTI
sabato 12 settembre 2009
Marcia mondia le per la pace e la nonviolenza
Si concluderà il 2 gennaio 2010 sulle Ande argentine, in località Punta de Vacas, ai piedi del monte Aconcagua. Durante questi 90 giorni passerà per più di 90 paesi e 100 città dei cinque continenti. Coprirà una distanza di 160.000 km.
http://www.marciamondiale.org
POTERE DELLA PAROLA
“Parole, parole, parole” diceva Amleto, subodorando l’inganno, la vacuità del belletto linguistico a coprire il marcio in Danimarca e il Nulla del naufragio della navicella dell’umano. Non a caso, la filosofia e la letteratura del Novecento, Heidegger e Beckett, per intenderci, esploreranno il concetto della parola “gettata” nel mondo insieme all’esistenza, anzi, di questa testimonianza, come logorrea e chiacchiericcio indistinto, rumore molesto o insulso vociare di anonime figure.
Ma la parola è segno, è storia, memoria e cifra del sacro e infinito raccontare con la parsimonia e la devozione del mito, del dire che si fa SENSO: questo noi, esseri digitali, abbiamo dimenticato.
LA SERA E' IL MIO LIBRO
Sfiorando l’oro delle cuciture
Lo apro con le mani,
adagio.
E leggo la sua prima pagina:
felice di trovare un tono calmo
leggo più sottovoce la seconda,
e la terza già la sogno.
Rainer Maria Rilke
Per chi, come me, non trova sonno senza il viatico di un buon libro…
SAPPI
Che tutte le strade,
anche le più sole
hanno un vento che le accompagna
e che il gomitolo, forse
non ha voluto diventar maglione
che preferisco
non imparar la rotta
per ricordarmi
il mare.
Pier Mario Giovannone
Dietro ogni via percorsa c’è un daimon, un vento che spinge e porta all’origine pur nel procedere. Nessuna contraddizione.
Scrive Umberto Galimberti: “Se nella nostra bocca, nata per baciare e per succhiare, c’è ancora qualche dente capace di lacerare il disegno “quasi perfetto” a suo tempo costruito su noi e per noi, addentiamo questo “quasi”, perché è l’unico spazio, che alla nascita, ci è stato concesso per la NOSTRA vita.”
Cosa aggiungere?!?
venerdì 11 settembre 2009
IL SEME DELLA CONOSCENZA
venerdì 4 settembre 2009
REGINA DELLE ACQUE
nei quali tengo le mie perle orientali;
per aprirli uso la marea,
chiave che spalancai
gusci delle ostriche, dopodiché prendo
quelle perle orientali e faccio corone;
e indosso il semplice corallo
che arrossisce al contatto dell'aria.
Siedo a cantare sulle onde d'argento
e allora i pesci stanno ad ascoltare:
poi, sedendo su una roccia,
mi pettino i capelli con una lisca di pesce;
nel frattempo Apollo, coi suoi raggi,
me li asciuga dai rivoletti d'acqua.
La luce fa splendere la superficie dell'acqua
e fa uno specchio dell'immenso mare:
così quando nuoto in alto sulle acque,
mi vedo mentre scivolo giù:
ma quando il sole comincia a scottare
torno alle mie acquee
mi tuffo sino in fondo:
allora le acque scorrono sulla mia testa
in onde increspate, a cerchi concentrici,
e così io sono incoronata dalle acque.
Margaret Cavendish,duchessa di Newcastle, 1668
La Cavendish fu scrittrice, filosofa, saggista e drammaturga inglese; tra le prime donne nel Seicento ad occuparsi di filosofia e a pubblicare le sue opere con il proprio nome. Grande risonanza ebbe la sua visita alla Royal Society. La Regina delle acque è una raffinata ode barocca e shakespeariana alla felicità dell'acqua, specchio, rifrangenza, nascondimento e finale identificazione con l'elemento.
giovedì 3 settembre 2009
ITACA
devi augurarti che la strada sia lunga
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere d'incontri
se il pensiero resta alto e il sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo
né nell'irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l'anima non te li mette contro.
Devi augurarti che la strada sia lunga
che i mattini d'estate siano tanti
quando nei porti - finalmente e con che gioia -
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche aromi
penetranti d'ogni sorta, più aromi
inebrianti che puoi,
va in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dotti.
Sempre devi avere in mente Itaca
- raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo,per anni, e che da vecchio
metta piede sull'isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
in viaggio: che cos'altro ti aspetti?
E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
Già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.
Costantinos Kavafis, Cinquantacinque poesie, Einaudi, Torino.
CI SONO GIORNI
Ci sono i giorni che diventano celebri, quelli degli incontri che scuotono la vita, oppure quelli che lasciano il segno per un’emozione o una scoperta, per una solitudine o una compagnia. Ci sono giorni-vigilia, dei conti alla rovescia, delle sfide attese e temute, i giorni che credi importanti e che invece, subito dopo, sono già appassiti. Ci sono i giorni-fotocopia, quelli che potresti scambiare tra loro, uscendo da uno per entrare nell’altro senza accorgertene. Ci sono i giorni-civetta, che ti sorridono da lontano, che ti tentano e ti fanno sperare, ma poi non si presentano all’appuntamento.
Ci sono giorni di altri che una volta erano anche i tuoi e che adesso non sono più nel tuo calendario, giorni che non ritornano. Ci sono giorni burrasca, che ti sorprendono al largo mentre stai facendo le solite cose e devi pregare per riuscire a tornare. Ci sono i giorni più duri, bui anche a mezzogiorno, degli strappi improvvisi, quelli dei congedi definitivi, delle cose che non puoi cambiare, i giorni in cui paghi tutto e con gli interessi, quelli in cui una fitta che avevi dimenticato torna a farsi sentire. Ci sono i giorni che si sciolgono al sole: sono belli al mattino, ma poi non accade nulla. Ci sono i giorni-destino, in cui tutto ti accade e tu non hai scelto nulla, i giorni che decidono anche per quelli successivi senza averli consultati. Ci sono i giorni tagliati in due, quelli in cui devi strapparti via mentre vorresti rimanere oppure riesci a passare tra le sbarre e sei libero all’aperto. Ci sono giorni in cui voli leggero ad alta quota e quelli in cui anche camminare stanca, giorni da giovani e giorni da vecchi.
Ci sono i giorni degli oroscopi, enigmi ed amuleti, in cui tutto risuona e tutto allude, i giorni esoterici. Ci sono giorni con le mani sudate, di attese impotenti dietro porte chiuse, di esami e responsi, i giorni nelle mani di altri e talvolta in quelle di Dio. Ci sono i giorni in cui lavori tanto, ma nessuno se ne accorge e quelli in cui tutti lodano il niente che hai fatto. Ci sono i giorni in cui ritrovi un’amicizia, conquisti una fiducia e quelli in cui la perdi; giorni in cui riesci a curare e guarire, quelli in cui ti sai soltanto ammalare. Ci sono giorni in cui ti piaci e ti porti in giro con soddisfazione e quelli in cui ti nascondi e non vorresti mai essere in tua compagnia. Ci sono i giorni servili, quelli che preparano gli altri giorni, giorni che sono solo gradini, e i giorni-signori, quelli un po’ superbi che sono lì solo per comandare le storie e dirigere le orchestre. Ci sono i giorni che guardi dall’inizio e quelli che guardi dalla fine, quelli che si fanno pregare e quelli che ti pregano, i giorni arrivati presto e quelli arrivati tardi. Ci sono i giorni di mare mosso in cui, se sei saggio, ti metti al riparo e quelli di brezza leggera in cui l’aria è una carezza e devi lasciarti andare.
Ci sono i giorni di storia, con date, battaglie e racconti e quelli di geografia in cui il tempo scompare e ci sono solo spazi, rocce e insenature. Ci sono i giorni eremiti, in cui lasci tutto alle spalle e diventi una salita e un silenzio, e i giorni carnevale, quelli in cui vorresti sempre toccare ed esser toccato. Ci sono i giorni in cui pensi ai giorni e quelli in cui togli la spina al pensiero. C’è un giorno in cui ti accorgi che una vita è una successione di giorni diversi, una collezione di fotografie che lascerai ad altri nella speranza che ne conservino qualcuna.
Da “Modernizzare Stanca” di Franco Cassano
domenica 30 agosto 2009
LE ISOLE FORTUNATE
COS'E' IL MARE?
“Ci sono poeti e scrittori che ti accompagnano dappertutto. Presenze quotidiane. Non c’è bisogno di rileggerli, sono sempre con te”
giovedì 27 agosto 2009
IL DIO DELLE PICCOLE COSE
venerdì 21 agosto 2009
Si affilia il filo azzurro delle notti
soffia in tutto ciò che v’è di caro,
e qualcuno chiamava con languore,
pensando alle amarezze della sera.
Ciò accadeva quando sulle barche
si accendevano tre stelle d’oro,
e quando una tuia solitaria
distese sopra una tomba i suoi rami.
Ciò accadeva quando i titanidi scarlatti turbanti si vestivano,
e l’impeto illegale d’un monsone
era bello, ignorandone il motivo.
Ciò accadeva quando i pescatori
cantavano parole di Odisseo,
e in lontananza sul flutto marino
un’ala in alto si levava sghemba.
Velimir Chlebnikov
Traduzione di Angelo Maria Ripellino Crocetti Editore 2005